mercoledì 26 gennaio 2011

Saremo tutti giudicati


Anche dalla Spagna si assiste allo spettacolo che proviene dallo spioncino delle ville di Berlusconi. La curiosità morbosa sulle abitudini sessuali di un Presidente del Consiglio senza prostata e i pettegolezzi di strada sui favori concessi alle sue ancelle accompagnano l’ultimo Berlusconi che è la parodia di se stesso, una recita pacchiana che avrà conseguenze indelebili per il nostro paese. Pochi giorni fa aprendo La Vanguardia (noto giornale spagnolo), a pagina 3 trovavo il faccione di Silvio cerato e sudato con uno speciale di tre pagine sulla situazione in Italia, sulla responsabilità del Vaticano che ha dato il suo appoggio per mantenere il vita il governo e che chiudeva con l’intervista di un certo Professore inglese che insegna all’Università di Firenze, piena di luoghi comuni sull’Italia, sul ritardo della nostra legislazione in tema di diritti e sulle continue ingerenze del Vaticano nella politica italiana. Chiudeva auspicando un ribaltone a favore di Fini e Casini. Quello che sta succedendo in Italia sembra rispondere ad un chiaro disegno trasversale che ha scelto che per Berlusconi è arrivato di finire la sua carriera politica.

Nella decadenza italiana sembra incredibile dover prendere le difese di un vecchio sessuomane, che ha infangato il voto, la fiducia di milioni di elettori, cha ha contribuito a portare in televisione il peggio della società italiana e che non riesce a pensare un paese senza la mentalità di un venditore di aspirapolveri o come un direttore di un baraccone di periferia, soffocato dai suoi vizi e ricompense, modello pervertito del buon nonno italiano, che in cambio di una toccatina e servizi vari elargisce ministeri, cariche pubbliche e ricompense a delle “povere ragazze” direttamente dalle sue tasche.

Nel vocabolario del tramonto berlusconiano c’è tutta la tristezza che trasuda dalle parole che si odono nelle intercettazioni, come il neologismo primitivo bunga-bunga, o la cafonaggine che si respira nella parola “briffare” per dire “mettere al corrente di una certa situazione”. Come se di certa tracotante ignoranza e piccolezza non sia intriso il nostro paese. Ma anche mentre si assiste al ludibrio pubblico si rimane nel dubbio se stiamo assistendo a una prima serata del Grande Fratello su Canale 5 o al tramonto di una carriera politica.

Nei due dossier passati alla Camera dalla Procura di Milano ci sono più di 600 pagine di dialoghi, appuntamenti, celle di posizione, congetture, supposizioni, gemiti.

Ma vi sembra normale a voi che la magistratura impieghi varie procure e soldi pubblici per intercettare il Primo Ministro di un paese, controllare i telefoni di lui e dei suoi invitati? Non sembra una certa eversione? La parola “colpo di Stato” dovrebbe almeno per un secondo balenare nelle nostre menti. Se tutto ciò vi sembra normale, sicuramente non avrete problemi a fare una passeggiata in Cina e restarvi per qualche mese per sentire il brivido del controllo sulla vostra schiena o perché no in Cambogia ad assaporare l’ebbrezza dell’orecchio del giudice sulle vostre conversazioni. Non si capisce come questo possa essere eluso dal dibattito pubblico che si riduce ai pettegolezzi, alle dicerie, ai lettoni o alle macchiette di un premier alle ultime battute. Perché il giorno in cui Berlusconi sarà nella sua Hammamet, in Italia i giudici porranno in pratica tutto il potere acquisito con il beneplacito della popolazione, e nessuno sarà in grado di toglierglielo e nemmeno loro saranno disponibili a rinunciarvi. Sarà l’instaurazione del comunismo moderno, dove non ci sarà più bisogno del delatore di Stato, ma basteranno la tecnologia moderna e l’orecchio lungo del giudice. Perché ogni cittadino se ascoltato per ore e ore nelle sue conversazioni può dire una frase, una battuta o qualsiasi cosa passibile di denuncia se tolta dal contesto e soprattutto sotto l’arbitrio di giudici che non ammettono limitazioni alla loro discrezione. Saremo così colpevoli fino a prova contraria, tutti condannati in partenza e poi costretti a dimostrare l’innocenza. E`il capovolgimento dello stato di diritto, del quale ci vantiamo nelle bombe che cadono sui talebani afgani o quando diamo lezioni di diritti umani al premier cinese. Senza rendercene conto cediamo porzioni di libertà sempre maggiori a un potere anonimo e burocratico, al Leviatano che viene a governarci più duramente del vecchio mostro. Stranamente tutti poteri non eletti, che prendono decisioni senza che nessuno lo abbia chiesto e che se ne infischiano di ciò che rimane della democrazia. La democrazia moderna è diventata l’oligarchia dei poteri non eletti: Unione Europea, magistratura, Goldman Sasch, Corte Internazione, Banca Mondiale, FMI. Strano caso, ma proprio durante gli anni in cui siamo stati più convinti di essere liberi il controllo sui cittadini è aumentato: la presenza della polizia e delle forze dell’ordine sono cresciute esponenzialmente; non avviene una comunicazione che essa non sia intercettata o registrata tanto elettronica che telefonica; è divenuto praticamente impossibile l’esercizio della libera professione o dell’esercizio commerciale senza che non ci siano una serie di controlli, leggi ed ispezioni ad impedire il progetto (per non parlare del fisco). Per questo, la magistratura che intercetta per anni, controlla, segue, indaga per trovare il delitto nelle parole e negli spostamenti della prima carica istituzionale non fa notizia, ma è diventata la salvezza collettiva, sospinta da quella sinistra che prosegue nel mito dei sanculotti, forche alla mano e sentenza per acclamazione. Finiremo così per arrivare all'obiettivo: introdurre il reato d’intenzionalità con l’aggravante di un moralismo puritano. Ci saranno poste domande del tipo: “Lei ha mai pensato di tradire sua moglie? E di uccidere il suo vicino di casa?”. Il reato sarà nella coscienza e non più nell'azione. Sembrerà paradossale ma credo che il cammino sia questo: una volta abolito il principio d’innocenza e della libertà umana, il prossimo passo sarà il controllo delle coscienze. Lo stato avanzato del problema si nota proprio nell'indifferenza generata dal problema del potere usurpato dalla magistratura in Italia. Il “minuto d’odio” ha accecato anche l’ultimo barlume della nostra libertà. Ma non dovrebbe farci preoccupare questo tipo di potere illegittimo, usurpatore, che spia e non si lascia toccare, che accusa senza essere accusata? Siamo proprio sicuri che tolto Berlusconi, questi che oggi usurpano il potere saranno disposti a lasciarlo di nuovo, se non al popolo, almeno al potere politico? Il problema di Platone nella Repubblica era proprio di rispondere alla domanda “chi giudica i giudici”. Noi abbiamo invertito i termini: “che i giudici giudichino tutti” poi vedremo chi è innocente. Senza renderci conto che questa è la fine della democrazia e l’inizio del regime, quello vero.

martedì 9 novembre 2010

Il marxismo come agente distruttore della famiglia


Dal punto di vista politico, si può dire che il marxismo è stato sconfitto nel 1989, più di venti anni fa. Morto come sistema di governo, è diventato subdolamente un motore culturale fondamentale della civiltà occidentale, opulenta e capitalista. Paradosso della storia ma non paradosso ideologico, perché le due ideologie sovrane del dopo guerra (capitalismo e marxismo) partono da una concezione antropologica dell’uomo che in fondo lo degrada e lo denuda della sua trascendenza. Oggi si potrebbe proclamare il marxismo come vincitore della post-modernità perché è riuscito grazie al suo trasformismo dialettico a riciclarsi perfettamente, arrivando ad impossessarsi in modo mellifluo delle coscienze del popolo, i nuovi proletari, diventati il modello dell’ “uomo nuovo” sognato da Marx, ormai incapaci di una rivoluzione ma sicuramente fedeli ai dettami del pensiero unico edonista e materialista. Ci si potrebbe chiedere dove risiede tutto questo potere della cultura marxista nel mondo moderno, e la domanda sarebbe lecita, considerando che il movimento comunista nel mondo è formato da pochi sparuti nostalgici affezionati a Lenin. Per rispondere a questa domanda dobbiamo indagare sul metodo marxista e poi cercheremo di applicarlo a un caso particolare, che è la famiglia. Il marxismo si configura come noto sul materialismo dialettico: il che significa che tutto è materia in continua evoluzione che forma la realtà e l’uomo. Ogni elemento trascendentale è totalmente escluso dall’analisi marxista perché incorretto e fuorviante. Applicando questo principio alla storia si ottiene ha che la storia umana è dettata dall’economia e quindi dalla storia di classi sociali ed economiche che entrano in lotta tra di loro in un processo di rottura e discontinuità inevitabile. La contrapposizione dialettica e la trasformazione rivoluzionaria sono il motivo ultimo della società; l’unica azione ammissibile e fine ultimo del comunismo è la rivoluzione permanente. Tutta la società è posta in lotta nelle sue apparenti alterità (ricchi-poveri,uomo-donna, figli-genitori, proletari-borghesi, uomo-terra, uomo-Dio) per giungere alla sintesi finale, che ci assicura Marx è il paradiso in terra. Il povero (proletario) è la leva per questo sollevamento e per la creazione dell’uomo nuovo; il suo risentimento è la forza che distruggerà la vecchia struttura che mantiene l’uomo schiavo ed oppresso. Karol Wojtyla lo spiegherà con parole mirabili: “Il marxismo si mette dalla parte del povero Lazzaro contro il ricco Epulone per combattere a Cristo” (1): in sintesi è il meccanismo dell’invidia e del risentimento a permettere la ribellione del povero verso il Dio ingiusto che nella sua provvidenza lo ha privato dei beni necessari che ha dato ingiustamente ad altri.

Questa sbrigativa digressione è necessaria per affrontare il problema. Poiché ogni valore morale decade di fronte all’azione da prendere, per il marxismo non esiste bene da raggiungere, da amare o da realizzare ma solo l’azione che si deve compiere. Non c’è un fine al quale avvicinarsi, ma solo la continua necessità dell’azione. Il raggiungimento del “paradiso in terra” è il fine del marxismo e rivela in definitiva un’intrinseca contraddizione, perché rappresenterebbe un raggiungimento di uno stato apprezzabile (quindi perfetto) che negherebbe la dialettica marxista fondamentalmente evoluzionista. Adattare questo pensiero alla cultura significa gettare l’essere umano in una società continuamente in tensione verso la disgregazione in ottica a un nuovo ordine che non arriverà mai, e che sarà solo disgregazione e disordine.

Applicato alla società moderna, è’ la base per il pullulare delle opinioni, figlio della democrazia e del relativismo, che è la garanzia perfetta affinché la società sia un miscuglio di interessi microscopici e sensibili in continua lotta tra di loro. Questo modo di procedere risulta chiarissimo nella concezione moderna della famiglia e sulla recente legislazione in materia.

Le tesi marxiste sulla famiglia sono racchiuse nel libro “Tesi su Feuerbach” scritto da Marx nel 1845 e nel saggio di Engels “L’origine della famiglia, la proprietà privata e lo Stato” del 1884. Marx afferma che se l’ ”origine della famiglia celestiale non è nient’altro che la famiglia terrena, quella umana, è proprio a questa a che bisogna distruggere” (2); cosciente della relazione tra la paternità divina offerta dal cristianesimo e del suo riflesso terreno che è la famiglia umana, Marx punta direttamente alla distruzione del matrimonio come struttura per distruggere indirettamente il suo fondamento trascendente. Nell’altro libro citato, Engels passa in rassegna varie civiltà umane in cui la monogamia non sarebbe apparsa e nega così che il matrimonio tra uomo e donna sia l’istituzione umana naturale. Attraverso l’analisi dialettica che sopra abbiamo menzionato, l’uomo e la donna si trovano in una profonda antitesi, in cui il primo è rappresentante del potere borghese mentre la seconda della sottomissione del proletariato. L’indissolubilità del matrimonio è contestata da Engels attraverso la sua analisi materialista della realtà: l’amore coniugale si fonderebbe unicamente sul desiderio sessuale che è incostante e dimostra come l’indissolubilità del matrimonio sia contraria alla natura dell’essere umano. Il matrimonio è quindi la prima “oppressione di classe” da cui la donna deve liberarsi, entrando nel mondo della produzione sociale e lasciando l’economia domestica che include anche l’educazione dei figli. Infatti, l’economia domestica non è produttiva e deve diventarlo con l’incorporazione della donna nel lavoro produttivo che la libera dalla sottomissione al marito e dal giogo del matrimonio indissolubile. La liberazione dalla maternità sarà offerta con i metodi di contraccezione e in ultima istanza dall’aborto. Inoltre la famiglia dove si realizza il desiderio del padre di lasciare i propri beni ai figli, ed è quindi il luogo del trionfo dell’ideologia del capitalismo e della conservazione della ricchezza. La nuova famiglia sarà una non-famiglia, in cui l’educazione spetterà allo Stato e il rapporto tra uomo e donna si ridurrà alla mera riproduttività. Il marxismo punta alla donna per arrivare alla distruzione della famiglia sostenendo inizialmente l’innaturalitá della monogamia (quindi la promiscuità e la poligamia), e poi attaccando l’indissolubilità del matrimonio, offrendo alla donna il suo cammino di liberazione rivoluzionaria al di fuori dalla famiglia e dal matrimonio.

Concludendo, ci troviamo di fronte a un classico esempio di dialettica marxista: la tensione tra uomo e donna si incarna nel matrimonio come primo luogo d’oppressione. La famiglia per essere una partecipazione della paternità divina, di cui la famiglia di Nazareth è l’esempio perfetto, deve essere distrutta partendo dall’unico soggetto potenzialmente rivoluzionario perché sfruttato: la donna. In questo modo l’entrata della donna nel lavoro produttivo è il cammino di liberazione materiale dal marito prima e dalla maternità dopo. Si nega in questo modo la natura stessa del matrimonio ordinato alla donazione mutua dei contraenti e alla procreazione e all’educazione dei figli. Si capisce un po’ meglio adesso, come questa ideologia abbia permeato la società attuale: diritto al divorzio, diritto all’aborto, donne in carriera senza figli né marito, unioni illegittime ed innaturali che chiedono il riconoscimento pubblico del vizio privato, e genitori che aspettano che la scuola educhi i propri figli invece che farlo loro come spetterebbe. Viviamo in una democrazia relativista e culturalmente marxista: i frutti sono ormai ben maturi.

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1) Francisco Canals, Mundo Historico y reino de Dios, Edizioni Scire, 2005, p.103. Traduzione dall’originale in spagnolo dell’autore.

2) Citazione di Marx, “Tesis sobre Feuerbach” da José Mª Petit Sullá, “La destrucción de la familia por el marxismo”, rivista Verbo, nº329-330, 1994. Traduzione dall’originale in spagnolo dell’autore. Testo completo disponibile qui: http://orlandis.org/doc/042.htm

mercoledì 1 settembre 2010

Dall'aborto alla vita: la storia del Dr. Bernard Nathanson


Il Dottor Bernard Nathanson è un uomo coraggioso. Nato e cresciuto in una famiglia ebrea, è stato tra i tre fondatori della National Abortion Right Action League nel 1968, che ha promosso negli Stati Uniti la causa dell’aborto, spingendo al suo riconoscimento legale e la sua accettazione nella società con gli argomenti classici delle posizioni abortiste, come l’eliminazione degli aborti clandestini, il diritto della donna sul suo corpo, l’assenza di vita nel ventre della madre. Ma soprattutto è stato autore materiale di 75.000 aborti nella sua carriera da medico, praticati in tutti i mesi della gestazione su donne che accudivano in una delle più prestigiose cliniche statunitensi di cui era divenuto nel frattempo direttore. Una storia quella del dottor Nathanson intrisa di dolore, rimorso e ricerca della verità in maniera ostinata che ha portato ad uno dei medici abortisti più famosi del mondo a cambiare vita, arrivando a considerare l’aborto come un impermissibile atto di violenza mortale (1). Racconta Nathanson nella sua biografia, “The Hand of God”: “Ho abortito i figli mai nati dei miei amici, colleghi, conoscenti e incluso professori. Sono arrivato al punto di abortire anche a mio figlio” (2), quest’ ultimo frutto di una relazione con la sua compagna ebrea Ruth. I mezzi usati dal movimento per la legalizzazione dell’aborto negli Stati Uniti sono quelli classici promossi dall’opinione pubblica e Nathanson li riassume in tre punti. Il primo fu polarizzare l’attenzione dei media falsificando sondaggi che proclamavano per esempio che il 60 % dei cittadini statunitensi erano a favore dell’aborto o gonfiando i dati relativi all’aborto clandestino, che passarono magicamente da 200 a 10000 l’anno. Il tutto per creare quel senso di solitudine e accerchiamento nelle persone che rifiutavano l’ammissione dell’interruzione della gravidanza. Il secondo trucco fu la cosiddetta “carta cattolica”, facendo coincidere l’opposizione all’aborto con le posizioni superate e retrograde della gerarchia ecclesiastica in contrapposizione ai fedeli cattolici che si dichiaravano a favore dell’aborto (sempre secondo gli stessi sondaggi fasulli). Il terzo punto consistette nella negazione di ogni evidenza scientifica che dimostrasse l’esistenza della vita durante la gestazione e che la presenza della vita è una questione filosofica o teologica ma certamente non scientifica (3).


I primi dubbi vennero a Nathanson nel 1974, dopo aver conosciuto la tecnologia degli ultrasuoni, in cui per la prima volta riusciva a vedere cosa c’era nel grembo della madre, scoprendo i battiti del cuore al 21 giorno di gestazione, i movimenti del feto, e addirittura si rese conto che si poteva creare un laccio affettivo solo guardando quel piccolo essere nello schermo. I dubbi di Nathanson cominciarono ad aumentare, cominciò a domandarsi cosa realmente stavano facendo nella clinica da lui diretta: racconta che nelle varie sale dove lavorava, poteva succedere di dar alla luce un bimbo alla 33ª settimana mentre nella sala accanto si praticava un aborto su di un feto con le stesse caratteristiche. Lui stesso racconta di come uno studio della rivista New England che ha provato la forza delle immagini all’ultrasuono: su 10 madri che entravano nella clinica per abortare e le veniva fatto vedere l’immagine del feto sul monitor, ben nove desistevano dall’aborto. Nel 1974 i dubbi di Nathanson vennero pubblicati dal New England Journal of Medicine, in cui affermava che come medico si era reso conto che l’inizio della vita iniziava nel ventre materno, e che “l’aborto deve vedersi come un processo che in un altro modo avrebbe generato un cittadino del mondo. Negare questa realtà è il tipo più turpe di evasione morale” (4). Il postino scaricava ogni giorno sacchi di lettere contenenti offese, improperi e minacce al più famoso medico abortista degli Stati Uniti; ci furono anche minacce di morte alla sua persona e alla sua famiglia. Era stato toccato un tasto che non bisognava toccare. Nathanson praticò l’ultimo aborto nel 1978, quando si arrese all’evidenza della realtà e quando ormai la sua coscienza non lo lasciava più vivere, soffocata dall’atroce certezza di aver perpetrato con le sue mani un male che aveva potuto prima scoprire con il cuore e poi corroborare con la moderna tecnologia. Il re dell’aborto si era arreso: spiega Nathanson che ció che spinge un medico a realizzare un aborto, oltre alla sete del denaro (5), è che lui stesso non si rende conto di ciò che fa: “il dottore non vede ciò che fa; colloca un apparecchio nell’utero, mette in marcia un motore, e l’aspiratrice funziona e risucchia qualcosa, che risulta essere un montarozzo di carne macinata in una sacchetto di plastica” (6). Nathanson voleva sapere cosa succedeva al feto durante un aborto: chiese ad un suo amico medico di collocare durante l’operazione un ecografo sul ventre della madre e di registrarlo. Dai filmati ricavati nacque l’idea di farne un documentario, chiamato “Il grido silenzioso”; il filmato mostrava come si faceva a pezzi un feto di dodici settimane nel ventre della madre e fu usato dal movimento pro-vita per far conoscere la realtà dell’aborto. Si poteva toccare con mano la tremenda realtà di un aborto: un essere umano veniva letteralmente fatto a pezzi e maciullato dallo strumento del dottore. Divenne ben presto manifesto del dramma dell’aborto nel mondo, della violenza e del genocidio silenzioso della nostra civiltà. Una società che uccide deliberatamente e impunemente i propri figli è giunta amaramente al capolinea della sua civiltà, un tempo splendente, e oggi atrofiata dalla falsa libertà svincolata da qualsiasi morale che la regoli. Siamo davanti ad un dramma terribile, paragonabile ai sacrifici umani offerti dalle popolazioni pre-colombine dell’America al dio Huitzilopochtlì: “l’aborto è diventato un mostro, un gigante cosi inimagginabile che solo pensare di poterlo imprigionare di nuovo nella sua prigione, dopo che si è alimentato con i corpi di trenta milioni di esseri umani, supera ogni aspettativa ragionabile. E nonostante ciò, questa è la nostra missione: uno sforzo erculeo” (7). Nathanson riconosce che ha aiutato questa orrenda creatura alimentandola con “grandi dosi di sangue e denaro”. Ma quella di Nathanson non è solo una storia di ripensamento, di onestà intellettuale e di coraggio. Nel 1996 Nathanson ha ricevuto il battesimo nella cripta della Cattedrale Cattolica di San Patrizio di New York, per mano del Cardinale John O’Connor, ricevendo nella stessa cerimonia anche la cresima e la Santa Comunione. Alla veneranda etá di 69 anni. Cosa ha spinto un uomo di origine ebrea che mai aveva pensato all’idea di Dio, ex re dell’aborto negli Stati Uniti, a credere in Gesù? I quindici anni che separano l’uscita de “Il grido silenzioso” al battesimo sono stati assai travagliati per il medico: le notti insonni, un rimorso dal quale nessuno sembrava poterlo liberare, le minacce interminabili erano diventate tenebre nella vita di Nathanson, era l’ ”ora del lupo” come lui l’ha definita: “mi svegliavo alle quattro o cinque di notte guardando l’oscurità e aspettando (senza pregare ancora), che si accendesse un messaggio dichiarandomi innocente di fronte ad un giurato invisibile” (8). Leggeva e rileggeva le Confessioni di San Agostino, Dostoyevsky, Kierkegaard. Proprio nel Santo di Ippona ritrovava il suo travaglio interiore, senza però avere a lato una Santa Monica che pregasse incessantemente per lui, ritrovandosi “in una nera disperazione senza uscita”. Nathanson ricorda di come nel 1989 restò impressionato da una manifestazione pacifica del movimento pro-vita nei pressi di una clinica abortista: “solo allora ho compreso l’esaltazione del puro amore di quelle persone, circondate dalla polizia newyorkese, che pregavano per i bimbi mai nati, per le donne che stavano praticando l’aborto, per i dottori e per le infermiere (...) erano sereni, contenti, cantavano e pregavano. Fu allora che per la prima volta nella mia vita di adulto cominciai seriamente a considerare la nozione di un Dio, un Dio che aveva permesso che andassi per tutti i proverbiali circuiti dell’inferno per insegnarmi il cammino della redenzione e la misericordia attraverso della sua grazia (9).

Quel Dio invisibile, incarnatosi in Gesú duemila anni orsono, era arrivato al cuore di Nathanson, portando quel perdono che nè la coscienza nè la ragione potevano offrirgli; poteva nascere di nuovo perchè Qualcuno si era offerto per lui, aveva caricato su di Sé la croce terribile che schiacciava Nathanson. Poteva considerarsi di nuovo libero, il suo debito era già stato pagato. Da quel giorno Nathanson può dire con le stesse parole di San Paolo, scritte duemila anni fa: “dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia”.

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1)
http://www.aboutabortions.com/Confess.html

2) B.Nathanson, “La mano de Dios”, Mundo y Cristianismo, 1997, p.73. Testo originale: B.Nathanson, "The hand of God: a journey from death to life by the abortion doctor who changed his mind", 1996, Regnery Publishing

3)http://www.aboutabortions.com/Confess.html; Questa strategia è stata ripetuta e si ripete tutt’ora per giustificare l’introduzione della legge sull’aborto nei vari ordinamenti giuridici. La ripetizione di questi stratagemmi fondati sulla menzogna sistematica dovrebbe perlomeno far riflettere.

4) B. Nathanson, op.cit, p.145

5) Alcuni dati che vengono spesso nascosti sono quelli relativi al prezzo di un aborto. Nella moderna e libera Spagna, il prezzo di un aborto è di 345€ entro le 12 settimane in anestesia locale e di 440 € in anestesia generale.Tra la 13ª e la 14ª settimana ci vogliono 475 € e alla 19ª si pagano 990€. Abortare nella 20ª settimana di gestazione costa 1.470€ e tra la 21ª e la 22ª il prezzo sale a 1.470€. Con la nuova legge dell’aborto in Spagna, entrata in vigore da poche settimane, oltre a poter abortire a 15 anni senza il permesso dei genitori, il costo dell’aborto potrà essere rimborsato dal Sistema Sanitario Nazionale. In pratica i cittadini pagaranno l’aborto con le proprie tasse.

6) B. Nathanson, op.cit, p.159

7) B. Nathanson, op.cit, p.12

8) B. Nathanson, op.cit, p.214

9)http://www.ewtn.com/library/prolife/bernconv.txtehttp://www.aciprensa.com/aborto/nathanson.htm

sabato 7 agosto 2010

Le opinioni dozzinali


Nella società post-moderna siamo invasi da idee e credenze universali cosi largamente diffuse che siamo circondati da persone che fanno a gara per asservirsi alle idee del momento. Come in una mente collettiva e uniformata, si credono le stesse cose, si fanno gli stessi ragionamenti, si dicono le stesse banalità senza correre il rischio di essere smentiti o peggio ancora di essere trascinati in una discussione che andrebbe per le lunghe. Il conformismo della nostra società è un conformismo dettato dalla vigliaccheria di non poter pronunciare parole proibite che con il tempo acquistano un significato quasi totemico, esoterico, fino a diventare parole e concetti proibiti. La manipolazione delle coscienze non è quella che impone con la forza o con il castigo certe opinioni ma le lascia strisciare subdolamente negli spazi culturali dove le persone si abbeverano senza problema e senza accorgersene. Cosi senza batter ciglio accogliamo le opinioni degli esperti dei telegiornali che ci indicano che quest’anno il mare sarà più freddo a causa dello scioglimento dei ghiacci, o crediamo allo psichiatra che analizza i comportamenti sessuali degli adolescenti come liberazione dai vecchi schemi predefiniti o ascoltiamo con piacere i discorsi di qualche transessuale in televisione che rivendica i diritti delle persone senza sesso o del terzo sesso. Un brivido di tranquillità scorre nelle viscere, possiamo credere con il beneplacito degli analisti televisivi e degli esperti che le nostre opinioni sono originali e sono confortate dal mezzobusto televisivo, dal collega di lavoro che la pensa come noi, dall’amico che sui temi d’attualità opina lo stesso. Per ogni tema d’attualità abbiamo delle risposte pronte: sull’aborto è il diritto della madre a renderlo licito, sugli omosessuali sappiamo che non possiamo intrometterci in ciò che a loro più aggrada nella vita privata, sul fascismo concordiamo che è il male assoluto; riusciamo ad avere idee convergenti praticamente su tutto. Dai ghiacciai del polo nord, all’11 Settembre fino alla bomba atomica dell’Iran (è sicuro, ce l’hanno, lo ripete anche il tg3). Le opinioni convergono senza problemi, né capacità critica: è la dittatura dell’uomo massa e delle sue opinioni dozzinali. In questo panorama, il portatore di un’idea critica, frutto di un ragionamento autonomo è il reietto per eccellenza, perché non solo nemico ideologico ma distruttore del sistema di sicurezza che permette all’uomo massa di cullarsi nelle sue convinzioni, beone che la sua sia vera originalità e che le sue idee siano frutto della sua capacità intellettuale. Non si rende conto che come un pappagallo mal addestrato ripete i dogmi santi della post-modernità, in cui tutti sono originali e tutti possiedono il benedetto diritto all’opinione. Tale diritto in realtà si tratta di una conquista, di un dovere umano alla scoperta e al superamento delle proprie miserie piuttosto che un’omologazione passiva ai sistemi simbolici che vengono offerti. Si potrebbe continuare all’infinito parlando dei tanti luoghi comuni, in cui ogni persona può sottoscrivere senza problema il manifesto ideologico del mondo moderno: qui in Spagna, e in particolar modo in Catalogna, è la memoria storica sul franchismo che danneggia ogni giorno di più l’unità nazionale spagnola (con un certo ammiccamento ecclesiastico), praticamente tutti conoscono a memoria la leggenda nera sulla Chiesa che nessuno osa mettere in discussione pena la scomunica dal tribunale laicista e progressista, o pensiamo per un momento al dibattito, se esiste, sula trasmissione delle malattie sessuali, fino ad arrivare a tutta la narrativa sulla seconda guerra mondiale con la classica distinzione tra la Germania cattiva ed ebrei oppressi. Ormai tutto lo scibile umano è stato catturato dall'uomo moderno, la sua è una risposta onnicomprensiva. Siamo entrati nella dittatura del pensiero unico, della vulgata narcotizzante, difesa con i denti dall’uomo moderno senza ragione. L’uomo massa, infatti, difende strenuamente quelle poche nozioni che ha assimilato e sottoscritto senza pensare, e si fa aspro contestatore di tutto ciò che mina la sua fiducia con una arroganza che lascia sbalorditi. Pensateci: ricordate se avete mai provato a convincere qualche conoscente attraverso evidenze o con semplice buonsenso riguardo alcuni temi di attualità. Ricordate se avete mai parlato di storia, offrendo argomenti critici su di un qualche tema che ho sopra citato e che i telegiornali ripetono come fossero verità assolute. Possono azzannarvi anche l’anima se ne fossero capaci; le opinioni dozzinali non si toccano né si lasciano persuadere, non accettano un contraddittorio. Provate a dirgli che nemmeno i darwinisti più accaniti credono ciecamente nella legge dell’evoluzione e che esiste un dibattito gigante a livello scientifico, con teorie e modelli che riescono a spiegare più degnamente la vita umana che il caos puro e la legge del più forte. Oppure che Bin Laden è un fantoccio e le guerre in Iraq e Afganistan sono state create in base a prove false (pensate a Colin Powell che mostra il powerpoint falso sull’arsenale di Sadadm Hussein di fronte alle Nazioni Unite) e dettate all’agenda dei conservatori dalle note lobby (ebraica, petrolio, armi) e fondate sul “New Project for a new American Century”, documento sottoscritto dai conservatori e che auspicava una nuova Pearl Harbour americana per dare vita ad un nuovo secolo di dominazione statunitense. Potete rischiare il linciaggio pubblico. Con spirito volontario ed entusiasta le menti si piegano alle spiegazioni offerte dalla post-modernitá, come carnefici volenterosi ci pieghiamo alla dittatura dell’aborto, ci rassegniamo alla morte di innocenti e poi difendiamo a spada tratta i diritti delle balene del Giappone o della foca danese. Siamo intrappolati in un cunicolo del pensiero, in cui vige l’autocensura delle menti, in cui non serve più un potere che castiga, ci pensa la persona stessa ad autocensurarsi in nome del pensiero unico; è la realizzazione della profezia orwelliana, in cui il vero giudice della società è la propria coscienza personale.

Il punto è che il mondo della menzogna e del travisamento della verità può essere possibile solo grazie al nostro volenteroso conformismo e omologazione. L’unica legge universalmente accettata è “Se mi piace, è giusto”; non c’è altra legge né precetto tra gli uomini. Siamo salvati dal nostro piacere e tutto può essere giusto e sbagliato a seconda della persona che osserva. E’ in definitiva il trionfo del relativismo, punto di entrata della dittatura del pensiero unico; perché se non c’è niente di vero né di falso, tutto può diventarlo a seconda del momento e della circostanza. I mezzi di comunicazione fanno il resto, insieme all’autocensura e alla prostituzione ideologica.
Gli adolescenti fanno foto ammiccanti e seminudi su netlog, un nuovo social network, e si danno voti sulla propria bellezza? Non c’è problema, si stanno liberando. Domani invece di pensare sul bene o sul male, sul giusto e lo sbagliato, penseranno solo a copulare in nome della libertà acquisita. Saremo tutti schiavi della nostra libertà, come auspicava Sartre.

lunedì 28 giugno 2010

Indiana Jones in Belgio


La perquisizione con torce e picconi stile Indiana Jones, avvenuta nella cattedrale di Malines, in Belgio, un tempo paese cattolico e fedele a Roma, è la prefigurazione di quello che attende la Chiesa nei tempi venturi. Chi si è illuso che dopo il Concilio Vaticano II, un gran tempo di pace si sarebbe riversato sul mondo e sulla Chiesa oggi dovrebbe profondamente riflettere. D’altronde sembrava del tutto scontato, la Chiesa si apriva al mondo, faceva entrare la (post) modernità nel suo seno, mostrava il suo volto simpatico al mondo, fatto di chitarre e incontri interreligiosi.

I “profeti di sventura” forse avevano ragione, e siamo solo all’inizio. Il tipo di irruzione, le modalità brutali degli interrogatori, con i codici penali sventolati di fronte a Vescovi e laici, la tempistica e l’appoggio pressoché unanime dei media deve far riflettere. Nell’immaginario collettivo l’equazione prete-pedofilo va estendendosi nel popolo che una volta resisteva con la fede dei semplici e che oggi si schiera ferocemente contro la Chiesa, volenterosi carnefici di una Chiesa sofferente. “La Chiesa ci vieta il piacere, ci consiglia una vita morale che aspira alla perfezione, vuole soffocare la mia libertà”: questo grida l’uomo medio dalle opinioni dozzinali, confezionate davanti alla televisione e assunte come proprie e originali, che si ribella perché qualcuno gli ricorda che siamo uomini e non besti. Per questo accuda la Chiesa di essere illiberale, perché me lo ricorda quando vorrei solo rotolarmi nel fango che mi sono creato e felice di mangiare le ghiande con i miei amici maiali. La polizia irrompe nella Cattedrale munita di martello pneumatico per violare le tombe di due Primati belgi, che come tutti sanno, sono soliti portarsi nelle tombe gli inconfessabili segreti pedofili. E’ una vecchia usanza belga, alla stregua degli antichi egizi che si portavano nel viaggio verso l’Oltretomba alcuni oggetti personali. I cardinali portano con sé le memorie degli abusi commessi in vita, è cosa risaputa.

La segnalazione alle autorità competenti è arrivata da un ex sacerdote, tal Rik Devillé, che ha guidato gli investigatori alla scoperta dei “tesori” della Cattedrale, in pieno stile Codice da Vinci. Segnalazione ricevuta come oro colato per sequestrare il cardinale e alcuni laici collaboratori che si trovavano nella Cattedrale in quel momento e portarli in questura.

E’ notizia di poche ore fa che il Presidente della Commissione sugli abusi, il laico e psichiatra infantile Adriaenssenss si è dimesso dal suo incarico: “Siamo stati utilizzati come esche” ha detto. E’ proprio la parola giusta, siamo stati delle esche. Abbiamo attirato i volenterosi carnefici che adesso ballano sul moribondo.

E’ opportuno considerare due aspetti di queste triste storia: il primo è inquadrare il perché e i mandanti di tale visita alla Cattedrale. Ai magistrati (guarda caso!) non interessa il fine dell’indagine, ovvero risarcire il grave torto subito dalle vittime dei presunti abusi. Ma solo il mezzo è ciò che conta: delegittimare la Chiesa, mostrarla perseguibile e “non al di sopra della legge”, ridurla a una cricca di banditi e pervertiti. Ai belgi, già si è visto con il caso del pedofilo seriale e assassino Ducroix che deteneva due ragazze in una prigione costruita nella sua villa e che aveva già ucciso due bambine, non interessa la giustizia. Il criminale venne più volte rilasciato e le indagini che furono osteggiate dalla stessa magistratura che oggi incrimina la Chiesa avevano rivelato una rete di potenti dediti a riti iniziatici satanici con pedofilia inclusa. Il tutto fu insabbiato e finalmente a Ducroix fu comminato l’ergastolo. A queste persone non interessa ristabilire l’ordine violato, ma solo travestirsi da laici fautori della giustizia, esecutori del diritto positivo, fare dell’intolleranza un buon vestito per la giustizia, intimidire la Chiesa belga, già debole per il suo progressismo semi-protestante, e ridurla a macerie con mezzi sensazionalistici e apparentemente esoterici che tanto piacciono al pubblico amante di Dan Brown, che non può far altro che credere che i cardinali portino nelle loro tombe i papiri contenenti i terrificanti segreti pederastici.

Il secondo aspetto è ancora più importante: il Santo Padre sa chi sono i mandanti, gli stessi del recente scandalo pedofilia, gli stessi che storpiano appena possono le sue parole per creare un polverone mediatico, gli stessi che odiano la Chiesa perché Chiesa. Ebbene, che questi massoni impuni siano denunciati in modo definitivo dal Papa, che lo gridi a gran voce e prepari il suo gregge a resistere nella fede, conoscendo i lupi che vogliono sbranarla. E ben vengano queste persecuzioni, che già Nostro Signore ci ha annunciato: “Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato me per primo”. Chi si è illuso di piacere al mondo? Chi ha voluto far sedere nella Chiesa per dialogare coloro che la odiano?

I vescovi e i sacerdoti del Belgio super-progressisti (80% è contro il celibato sacerdotale e il 56 % a favore dell’ordinazione femminile), che si prodigavano fino a pochi anni fa nel vietare processioni religiose, come quella del Corpus Christi (che nacque nel Medio Evo proprio a Liegi) per paura dell’”impatto che potrebbe avere sulla popolazione”, che hanno promosso indefessi le cause della lobby omosessuale, ricevono alla fine il loro salario. Tante carezze al lupo per poi farsi sbranare. Da veri scemi, contrariando anche il motto evangelico “semplici come le colombe e prudenti come i serpenti”, ci siamo dati in pasto ai nostri carnefici. Non tutto però viene per nuocere. La persecuzione forgia la fede, rinnova lo spirito, fa cadere i drappelli da pavone che attirano il mondo, per tornare all’ortodossia della fede, fatta di sacrificio e sudore. Per questo si sbaglia Gentiloni in un articolo sul Manifesto, dal titolo “Un cattolicesimo di chiusura”. Gentiloni ci ricorda che la Chiesa è in crisi perché non si piega del tutto al Concilio Vaticano II e non lo attua completamente: poco potere alle donne, fine della teologia della liberazione, rigidità su tematiche morali. Però ci conforta e ci dice profeticamente che “prima o poi le voci nuove prevarranno”. No Gentiloni, il lemma della Chiesa è “no prevalebunt”: quello che prevarrà sarà sempre e solo Cristo.

martedì 15 giugno 2010

Un buon sacerdote


Ho avuto il piacere di dedicare una serata al cinema, che non è tra i miei passatempi preferiti, per vedere un film prodotto in Spagna, dal titolo “La ultima cima”, di Juan Manuel Cotelo. E’ la storia di un buon sacerdote che fa scandalo perché è la storia di un normale sacerdote della Chiesa, che muore improvvisamente a 42 anni in un incidente di montagna, sui Pirenei. Un sacerdote che ha destato la curiosità del regista che ha cominciato a scavare nella sua vita più intima trovando una persona dedita a Cristo, abbandonato alla sua volontà e “un altro Cristo” per tutte le persone che sono passate per il suo cammino, e raccontato proprio dalle persone che lo hanno conosciuto. Una storia propriamente scandalosa perché comune e quotidiana. Nessun colpo di scena finale, se non la morte del protagonista che irrompe nella vita straordinaria di questo ordinario sacerdote, l’aprirsi della “porta eterna” verso la vita piena in Dio. Rimango colpito e soddisfatto nel vedere alcune persone nella sala, che gustano dei ricordi delle persone che hanno condiviso la vita terrena del sacerdote Pablo Domínguez, dottore in filosofia e teologia che parlava in conferenze ed era professore di logica, e spiegava ai suoi amici della meraviglia della “ragionevolezza” di Dio, dello stupefacente amore per ogni essere umano, dell’allegria della vita nella fede, nonostante le difficoltà e le tribolazioni. Perché Dio è venuto a visitare l’uomo nell’umiltà di una stalla, senza un posto dove ristorarsi, nello stupore del Creato e nel silenzio della Storia. Quel Dio si è degnato di farsi presente, senza gridare ma solo per servire. E dalla figura di Cristo si capisce la figura del sacerdote. Darsi tutto per tutti. Come ha fatto il primo sacerdote di tutti, il Figlio di Dio.

Si racconta che Pablo fosse solito celebrare la Santa Messa in montagna, quando partiva da solo e una volta sulla cima offriva il pane e il vino al Cielo, affinché si trasformasse in Corpo e Sangue di Cristo. Era allegro, felice della sua vocazione, realizzato nella sua chiamata a donare la propria vita per i suoi amici e per la Chiesa. Mi ricorda un altro sacerdote che ho avuto la fortuna di conoscere, polacco, Padre Agostino che parlava di Dio come dell’amico che non tradisce mai e che per primo svegliò in me la sete di conoscere chi c’era dall’altra parte della porta e mi aspettava da sempre: “Sono alla porta e chiamo” dice il Signore. O al contrario, di un altro sacerdote di Barcellona che mi spiegava con roboanti argomenti teologici che per celebrare la Messa bisogna far partecipare l’assemblea, altrimenti non è completa, bisogna parlare e applaudire, dialogare e scambiare opinioni. Come se fosse necessario far tacere il Mistero con le nostre parole, con i nostri gesti. Mentre Pablo amava celebrare la Messa sulla cima dei Pirenei, nella solitudine delle montagne, dove spesso Dio è sceso a farsi conoscere agli uomini, la stessa montagna dove Gesù si manifestò a due suoi discepoli che non volevano più scendere dopo aver visto il suo splendore. Mi ha ricordato soprattutto l’immensa preziosità della chiamata al sacerdozio nella Chiesa, dell’importanza di avere sacerdoti santi e “arresi” a Dio, con le mani in alto di fronte al ladro che non si sa a che ora della notte arriverà. Di persone che si conoscono e soprattutto conoscono Dio, e hanno trovato la perla della loro vita e per quella perla sono pronti a dare tutto. Come la testimonianza della madre che è stata convinta da Pablo a portare avanti la sua terza gravidanza e non ricorrere all’aborto consigliato dai medici, di un figlio senza speranza di vita, per seppellirlo con il sorriso dopo appena due giorni: raccontava la madre che Pablo gli ripeteva che ogni “persona veniva al mondo con una missione”. Quella del bambino con due giorni di vita è stata la conversione della persona che lo portava nel grembo.

Coincide il film, con la chiusura dell’anno sacerdotale della Chiesa, uno degli anni più difficili per i sacerdoti coinvolti nella bufera mediatica della pedofilia, strumentalizzati per il pubblico ludibrio della plebe selvaggia, trattati come appestati dalla doppia morale del mondo. Pochi giorni fa il Papa ricordava in quest’occasione il Santo sacerdote di Ars, San Juan Maria Vianney: incapace negli studi teologici, arrivó ad essere ordinato sacerdote con grandissime difficoltà accademiche. Dal villaggio francese di trecento anime, divenne famoso per la sua santità e la sua umiltà. Trascorreva giorni ricevendo le persone e mostrando l’amore di Dio attraverso il sacramento della Riconciliazione. “L’uomo che si è fatto Misericordia” lo ha definito il Papa in questi giorni; senza preparazione né talento, era diventato meta di pellegrinaggio di migliaia di pellegrini che viaggiavano per conoscerlo. Nell’ordinario e nell’insignificante, a Dio piace fare le sue opere migliori.

domenica 30 maggio 2010

La fine della persona come essere: Peter Singer (parte III)


Abbiamo visto negli articoli precedenti due tentativi filosofici della negazione dell’uomo come entità ontologica, inglobandolo in un’Umanità che lo schiaccia fino ad annullarlo (Comte) o negando la sua natura specifica riducendolo a materia inanimata e informe, il cui unico fine è la libertà-libertinaggio per sfuggire alla sua informità (Sartre). L’ennesimo contributo alla morte dell’uomo è di un professore di bioetica di Princeton, noto per i suoi libri sulla difesa degli animali e sulla nuova etica pratica della felicità. Mi riferisco a Peter Singer, riferimento filosofico del governo Zapatero, che ha confessato di aver letto i suoi libri e di apprezzarlo. Il rovesciamento dei valori classici dell’Occidente è chiaro fin dal principio nei testi del professore australiano. Singer inaugura la nuova etica pratica che porterà l’uomo alla felicità: bisogna passare dall’etica della sacralità della vita a un’etica della qualità della vita. La nuova etica di Singer si definisce “utilitarista” e riconosce il debito ideologico con il padre dell’utilitarismo, Jeremy Bentham: “La capacità di soffrire è la caratteristica che conferisce ad un essere il diritto di un’eguale considerazione”. Il dolore misura la qualità della vita. Per questo gli uomini sono dei razzisti, o especisti come li chiama Singer poiché danno più valore al dolore umano che a quello animale, perché antepongono il proprio dolore a quello degli animali che dimostrano di poter soffrire. Un cavallo sobbalza per un calcio, un cane sembra piangere quando il padrone scompare. L’uomo e l’animale sono sullo stesso piano poiché entrambi provano dolore. Coloro che mangiano carne animale, che si dedicano alla caccia, che fomentano la sperimentazione sugli animali sono dei razzisti, degli especisti da esecrare, assassini e torturatori. L’uomo, prodotto dell’evoluzione cieca, figlio di una scimmia fortunata, si comporta da sempre da razzista e ha creato un’etica discriminatrice verso i suoi fratelli animali, soprattutto i primati, parenti più diretti ma meno fortunati di noi. E’ doveroso, manifesta Singer, ampliare i diritti umani anche agli scimpanzé e ai babbuini: “Tutti gli animali sono uguali”, nel mondo evoluzionista non c’è spazio per le differenze sostanziali tra uomo e animale, siamo tutti sullo stesso piano evolutivo. In questa nuova etica, chi soffre possiede una minore qualità di vita, e coloro che non hanno coscienza di questo dolore non possono essere considerate persone. Addio vecchietti rincoglioniti rinchiusi negli ospedali a spendere fondi pubblici, addio embrioni senza coscienza né vita! Una vita con dolore o senza la coscienza del dolore, non vale la pena di essere vissuta. Il metro deve essere la quantità di felicità presente nel mondo: eliminare una persona che soffre, è un aumento in tal senso. Cosi come un feto non ha coscienza del proprio dolore, cosi anche i bambini fino a una certa età non possiedono questa coscienza, non sanno se vogliono o non vogliono continuare a vivere e sono alla stessa stregua del feto. Il metodo di giudizio per la loro vita sarà la felicità (o l’assenza di dolore) che la loro esistenza comporta nel mondo. Per questo dice Singer, “nel caso di un bebè affetto da sindrome di Down o la cui vita sia iniziata in condizioni difficoltose, i genitori dovrebbero essere liberi di uccidere il bambino durante i primi ventotto giorni di vita”[1]. Nell’etica della qualità della vita anche l’infanticidio è licito: e come specifica Singer le restrizioni che la legge impone sull’infanticidio sono dovute più che altro all’orrore che esso produce tra le persone piuttosto che alla “malvagità che intrinsecamente implica uccidere un bambino”[2]. L’uomo ridotto ad animale deve abbandonare l’idea che la sua vita sia sacra: nessun essere umano, handicappato, in coma, appena nato, “possiede un diritto alla vita tanto forte quanto quello degli esseri capaci di considerarsi a se stessi come entità differenti che esistono nel tempo”[3]. La conclusione è diretta: un orangutan adulto merita di vivere più di un bambino, ha maggiore qualità di vita e coscienza di sé. In definitiva qualsiasi cosa minaccia la felicità complessiva del mondo (un handicappato, una persona in stato vegetativo, un dolore) deve essere soppresso. Bisogna aiutare a morire questi esseri, cosi non soffriranno più né loro né le persone che gli sono vicine. Il dolore per Singer è un senza senso, insopportabile e aberrante, deve essere sradicato dalla faccia della terra: per questo il Dio cristiano lo ripugna perché si è sacrificato per tutti, ha donato la sua vita, si è fatto immagine del dolore per ottenere la redenzione. Il classico refrain buonista e filantropico: “Se esistesse Dio non permetterebbe la sofferenza inutile degli innocenti”[4]. E allora ben venga la morte, l’eugenesia, l’eutanasia, bisogna ripulire la terra dal dolore.

“Quando la morte di un bambino disabile conduce alla nascita di un altro bambino con maggiori prospettive di avere una vita felice, la quantità di felicità totale sarà maggiore se si uccide al bambino disabile”.[5]

Si deve essere più selettivi, non c’è pietà nello sradicare la malformazione e il dolore dal mondo. E pensare che giuriamo ogni giorni di difenderci dal nuovo nazismo, però deve ripresentarsi con i baffi e parlare tedesco. Singer è il darwinismo compiuto fino alle sue estreme conseguenze, è il Cartesio dei nostri giorni, più feroce e letale. Cosi come Cartesio aveva confuso la persona umana con la sua capacità di pensiero (Cogito ergo sum), cosi Singer confonde il soggetto con la coscienza. Un essere senza coscienza non è un essere, e per questo si può e si deve uccidere. L’uomo per Singer è una cosa pensante (res cogitans) invece di un soggetto che possiede una coscienza. E’ il ribaltamento del pensiero occidentale, della filosofia greca, romana e cristiana. Singer vende milioni di copie con i suoi libri, seduce e conquista i lettori medi, che si fanno volontari carnefici del nuovo millennio, arriva allo strato popolare spesso irraggiungibile dal pensiero filosofico. Il suo libro “Liberazione animale” ha venduto più di un milione di copie perché possiede tutti quei luoghi comuni che caratterizzano il modernismo, e che contraddirli significa o l’autocensura o l’isolamento di chi li critica: darwinismo, edonismo, utilitarismo, filantropia sono i pilastri incontestabili della nostra società. E allora teniamoci stretto Singer e la sua ascia assassina, fino a quando non toccherà anche a noi soccombere di fronte alla nuova Etica Pratica. Perlomeno, fino a quel momento non fatevi paladini dell’Occidente, non difendete l’Europa, non sputate sangue sull’Iran e sul mondo musulmano. Un popolo, un sistema di valori, un gruppo che non ha più identità, che disprezza le sue origini e la sua tradizione cristiana, che uccide i propri figli è giusto che sia conquistato perché non sa più chi è e non può proporsi come guida morale. Gli è rimasto solo il suo nichilismo imbiancato e politicamente corretto tra le mani.


[1] Peter Singer, “Practical Ethics”, Cambridge University Press, Cambridge, 1979, pp.131-138

[2] Peter Singer, “Etica Practica”, Ariel, Barcelona, 1995, p.135

[3] Peter Singer, “Etica practica”, p.142

[4] Intervista a El Pais, 23 Settembre 2006, p.9

[5] Peter Singer, “Etica practica”, p.145