martedì 23 marzo 2010

La fine della persona come essere: Jean-Paul Sartre (parte II)

La grande decadenza del pensiero moderno, diventato all’improvviso nemico e carnefice dell’uomo, si può rintracciare in quella sostanziale rottura dell’unità e organicità del mondo tipica della teologia cattolica. I filosofi e i pensatori più in voga negli ultimi centocinquanta anni hanno lavorato sodo per distruggere la visione del mondo cordiale del cristianesimo per impiantare le basi del dualismo ontologico e relativizzare la società, includendo anche l’uomo.

Il pensiero cristiano prevede una sostanziale organicità del mondo, lacerato dal peccato originale e sanato dalla morte e resurrezione di Gesù: Dio è il centro del mondo e della storia e l’uomo è creatura e Figlio, parte sublime della creazione fatta per amore. L’uomo non è estraneo al mondo circostante ed è inserito provvidenzialmente in un mondo che può dominare con la tecnica e con l’intelletto. Il grande dramma del pensiero moderno avviene nella sostanziale rottura di tale organicità del mondo e dell’uomo. Partendo da Cartesio, il pensiero che si è andato sviluppando ricalca ed enfatizza la primordiale divisone del mondo in cui l’uomo perde il suo ruolo centrale di creatura e si comincia a muovere in un ambiente conflittuale e ostile a se stesso. Corpo, anima e intelletto diventano membri scollegati della natura umana, in competizione e distruzione tra loro e lo stesso mondo circostante subisce questo destino, in cui la materia e la coscienza diventano i nuovi nemici e demoni dell’uomo. L’uomo un tempo definito come “individuo di natura razionale” perde lentamente la sua dignità per sprofondare nelle tenebre del nichilismo.

In questo senso Sartre darà il suo macabro contributo al pensiero moderno, alla cultura della morte che schiavizza l’uomo e lo rinchiude nella gabbia che si è confezionato. Come spesso accade la vita personale segnerà la vita del filosofo: la scomparsa prematura del padre Jean-Baptiste, gli farà esclamare in età matura:“fu il grande evento della mia vita: restituì le catene a mia madre e mi diede la libertà” (1). La morte della figura paterna liberava Sartre da un fardello che lo avrebbe schiacciato, dispensandolo da questo “vincolo familiare marcio” (2) e dal peso di Dio da cui si sarebbe affrancato velocemente.

Se Compte rompeva la persona umana partendo dalla negazione della sua “individualità”, Sartre farà lo stesso partendo dalla “natura”.
La divisione fondamentale del pensiero di Sartre è tra il mondo della materia e il mondo della coscienza, ovvero tra il “être-en-soi” (l’essere in sé, ovvero la materia) e il “être-pour-soi” (l’essere per se, ovvero la coscienza),

L’essere in sé è l’oggetto della nostra coscienza ed è il mondo determinato,fisso, inanimato mentre l’essere per sé è incompleto, dinamico, in quanto siamo esseri in processo che decidono in ogni momento quello che vogliono essere. In questo senso, ancora non siamo in assoluto esseri umani, stiamo ancora decidendo quello che vogliamo e scegliamo di essere. Riassunto in una frase di Sartre: “l’esistenza precede l’essenza”: ovvero il fatto di essere vivi, di esistere è qualcosa che è anteriore alla nostra natura, al nostro essere. Niente e nessuno ci determina e ci plasma prima del nostro inizio su questa terra, siamo noi che scegliamo in un divenire continuo ciò che saremo. Per questo Sartre nega l’esistenza di una creazione divina: se Dio ci ha creati ci deve aver dato una certa “natura personale,” ci deve aver dato per lo meno un minimo di concrezione, un qualcosa con cui la sua mano ci abbia plasmato. Questo non può avvenire per Sartre perché limiterebbe la nostra libertà di cambiare come vogliamo, non si può accettare nessuna creazione perché non si può accettare alcunché in noi che si possa considerare “creato” e quindi già plasmato, immodificabile. Proprio lui proclama fieramente:

“Non esiste la natura umana perché non esiste un Dio che abbia una tale concezione”. (3)

Non esistendo il concetto di umano, non esiste neanche il concetto di “inumano” per Sartre:

“Le situazioni più atroci della guerra, le peggiori torture, non creano uno stato umano delle cose; non esistono le situazioni inumane” (4).

Per questo motivo Sartre nel 1956, vedendo i carri armati sovietici invadere l’Ungheria, cercava di dissuadere lo sdegno dell’opinione pubblica dicendo che “la violenza comunista è la malattia infantile della nuova era”. Sono i piccoli dettagli da sopportare in attesa della nuova creazione comunista, la difesa indifendibile di Sartre.

Ma il dualismo una volta impiantato nella realtà può avere effetti inimmaginabili: oltre a cadere in un facile manicheismo, anche la relazione uomo-donna diventa conflittuale. L’uomo è associato all'essere per sé e quindi intrinsecamente positivo e libero e la donna all’essere in sé, come l’essenza del mondo, schiava e inutile, o per dirla alla Sartre “nauseabonda“. Sarebbe curioso vedere la faccia delle tante femministe innamorate di Sartre e della sua pretesa libertà sessuale quando si rendessero conto di essere state paragonate alla materia infima e immonda. La stessa sessualità diventa relativa e un fatto meramente culturale, non esiste nessuna base determinata per i sessi (impensabile per il filosofo), ed essi si formano nel vissuto e nelle relazioni umane. In definitiva non si nasce uomini o donne, ma si è indefiniti fino allo sviluppo del sesso che si preferisce. La breccia creata dal pensiero sartriano arriva a toccare la stessa realtà e la relazione con l’Altro, il prossimo, che è un mero oggetto della relazione, un “essere in sé”, cui è impossibile amare, lo si può o dominare o essere dominati. Niente amore, solo masochismo e sadismo. L’amore schiavizza, rende impotenti, uccide per Sartre: “il mio peccato originale è l’esistenza dell’Altro” (5), finirà per affermare.

Sartre è il filosofo del nulla. Idealizzato a sinistra per il suo impegno nel partito comunista francese, si ritroverà inghiottito nel suo stesso pensiero esistenzialista, come in un mulinello torbido dove è distrutta ogni possibilità di sopravvivenza per l’uomo, senza amore, senza vita, senza nessun senso al tempo che scorre. Un mondo avverso, profondamente ostile è quello che Sartre presenta all'uomo spersonalizzato e sodomizzato, un incubo in cui regnano odio e terrore, conflitto e "nullificazione" della realtà, un lento cammino verso il suicidio per la nausea provocata dal mondo circostante.

Come si può intuire, notevole è la sua influenza nel pensiero moderno, il nichilismo distruttivo, l’ateismo senza limiti morali, la discussione tra genero e sesso, l’omosessualità come scelta di vita, l’individualismo e il rifiuto dell’uomo come essere e come prossimo. Un grande filosofo della morte.

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1) Jean-Paul Sartre, Words, Hamish Hamilton, Londra, 1964, pag.13

2)Ibidem

3) D. de Marco/Benjamin Wiker, “Los arquitectos de la cultura de la muerte”, Ciutadela Libros, Madrid, 2007, pag 165. Versione originale in lingua inglese:http://books.google.com/books?id=IRfC5enFeH8C&printsec=frontcover&dq=donald+de+marco&hl=es&cd=1#v=onepage&q=&f=false

4) Ibidem

5) Jean-Paul Sartre, Being and Nothingness, Citadel Press, New York, 1964

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