lunedì 15 marzo 2010

La fine della persona come essere: Augusto Comte (parte I)


Il pensiero filosofico e intellettuale nella storia dell’umanità ha sorretto e indirizzato la politica e le scelte delle società abitata dagli esseri umani. Questa è una verità semplicissima spesso scordata e tralasciata per meri interessi puntuali, per perpetuare l’illusione di un presente senza passato. Significa che la trasformazione della società e della politica da essa sviluppata cammina di pari passo con il pensiero filosofico dominante nell’epoca di riferimento, ovvero che nessuna società nasce senza il bagaglio necessario fornitogli dagli intellettuali e dai pensatori che giustificano e danno senso all’agire umano in un dato periodo storico. Tutte le grandi epoche storiche hanno avuto il loro “traino” intellettuale che ha permesso l’instaurarsi di una certa civiltà. Fu cosi a Roma, con la filosofia greca adattata allo spirito pratico dell’Urbe, la Scolastica nel Medio Evo, l’ Illuminismo per la rivoluzione francese o il marxismo e l’utilitarismo liberista nel secolo scorso. E si potrebbero fare innumerevoli esempi per dimostrare come politica e pensiero sono un unico svolgersi che si influenzano reciprocamente. Mi sono spesso chiesto, dove e come è iniziata la grande trasformazione odierna, ovvero quando la società moderna ha intrapreso questo cammino verso la distruzione dell’uomo e il proprio annichilamento spirituale ed intellettuale. Quali sono stati gli uomini che hanno permesso nelle ultime generazioni l’imbarbarimento dei costumi, il nichilismo arrogante, la fine di un’ideologia cordiale con l’uomo e la sua esistenza che rappresentava il pensiero cristiano. E di come queste grandi novità inserite a forza nell'ordinamento giuridico degli Stati siano state accolte con tanto fervore e zelo giacobino dalla maggior parte degli esseri umani, intellettuali e non, pronti a tacciare come “profeti di sventura” coloro che vedevano l’alone della morte scendere sulla civiltà umana, sotto il nome di “progresso”. Gli stessi che si sentivano liberati dal peso della morale e dai doveri societari, erano gli stessi volenterosi carnefici che facevano del mondo un luogo di violenza e barbarie, dove regnava e tuttora regna l’individualismo, il piacere assolutizzato e la libertà senza limiti.

Un libro illuminante in questo senso è “Architects of the culture of death” (Gli architetti della cultura della morte) di D. De Marco e B.Wiker (1).

In questo articolo vedremo solo uno di questi architetti della cultura della morte, per capire come il pensiero si riflette nella società e la trasforma: Augusto Comte (nella seconda parte toccherà a Jean-Paul Sartre).

Il filosofo francese fu portatore e fautore di una nuova religione che tolse Dio dal suo trono legittimo, ponendo al suo posto l’uomo nuovo da lui stesso ideato.
Figlio di una famiglia cattolica durante la persecuzione della Rivoluzione francese creò un tipo di Umanità che avrebbe soppiantato il Dio del cristianesimo per instaurare l’era del Grande Essere – Le Grand Être – ovvero l’Umanità - di cui il filosofo sarebbe diventato il suo vate, o il Grande Sacerdote, per dirla con le parole di un altro architetto della morte, il suo amico John Stuart Mill, il teorico dell’Utilità come bene supremo. Comte era convinto che il cristianesimo fosse intrinsecamente senza rimedio e fallito perché antisociale: l’uomo cristiano è essenzialmente egoista perché cerca la propria santità e salvezza invece di occuparsi del benessere dell’Umanità. L’ “egoismo cristiano” era intollerabile per Comte, perché i cristiani sono in questo senso “anarchisti”, non sono assimilabili nella nuova religione dell’Umanità e del sapere scientifico e per questo sono causa dei disordini del tempo. Il comandamento dell’amore cristiano per il prossimo non era sufficiente per Comte che accusava il cristianesimo di aver fallito nella struttura sociale che aveva creato. In questo senso per il filosofo, tutto ciò che appartenesse alla metafisica e alla teologia non era degno di considerazione e non era utile; solo le scienze empiriche avrebbero portato alla conoscenza definitiva, o alla fisica sociale, che chiamò “sociologia”. Da qui il rifiuto dell’idea di persona derivante dal cristianesimo, come soggetto di diritto creato e amato dal Padre, perché si contrapponeva all’unica realtà possibile e concepibile, l’Umanità. L’uomo come entità ontologica è inesistente nel pensiero comtiano, semplicemente non esiste, è un non-essere. Esso deve subordinarsi al nuovo dio, il Grande Essere, adorarlo e sommettersi alla sua potenza:il culto dell’Umanità porterà quindi la giustizia sociale che anela e che è disattesa nel presente. Egli stesso afferma:

“La fede cristiana consacrava la personalità di un’esistenza che al vincolare ogni persona direttamente con un potere infinito, la isola profondamente dall’umanità”. (2)

L’uomo in sé cessa di esistere, diventa un ingranaggio minuscolo della nuova divinità, non è più portatore di nessun diritto ma solo di doveri nella nuova società del sacerdote-filosofo, è la vittoria della “sociabilità” sulla personalità, in definitiva è la morte dell’uomo:

“L’uomo propriamente detto non esiste; solo può esistere l’Umanità, poiché tutto il nostro sviluppo è dovuto alla società, da qualsiasi aspetto lo si veda. Se l’idea di società sembra ancora un’astrazione della nostra intelligenza, è soprattutto a causa del vecchio regime filosofico”. (3)

L’uomo liberato dal peso e dalla schiavitù di Dio, sarebbe diventato servo dell’Umanità. L’uomo dovrà sacrificare tutto se stesso per fondersi in un amalgama informe, arrendersi al titano imbattibile e rinunciare ai propri diritti: insomma, l’uomo si deve autoeliminare perché è un “astrazione metafisica” e deve lasciare il passo all’Umanità. I diritti rafforzando l’individualità e la persona, finiscono per dare senso all’uomo, lo riconoscono e per questo sono inconciliabili con la nuova religione: essi sono una costruzione “teologico-metafisica da abolire, insieme alla ricerca delle cause prime degli effetti. Devono esistere solo doveri che devono subordinare la personalità alla società. In pratica, non si possiede nessun diritto se non quello di fare sempre il proprio dovere.

“Tutti i diritti umani sono quindi assurdi e altrettanto immorali. Dato che esistono solo diritti divini, questa nozione deve rifiutarsi categoricamente, come referente al regime preliminare e direttamente incompatibile con lo stadio finale, che solo ammette doveri, secondo le funzioni”. (4)

E’ la vittoria della società sull’uomo, della legge sull’amore, della morte sulla vita. La visione atea e filantropica alla Comte crea una società utopica controllatrice, morbosa, che non riconosce nessun “altro” se non la propria negazione, ovvero l’Umanità. Una società che crede di sopravvivere senza uomini, è una società morta prima di nascere, che farà dell’intolleranza e dell’ingiustizia la propria essenza, in nome del nuovo dio impersonale che non può essere criticato.

Per capire l’impatto del pensiero di Comte nel mondo moderno è utile partire proprio dalla morte dell’uomo come entità. La sua influenza è chiara nelle politiche del disprezzo della vita dell’essere umano come tale, nel relativismo, nell’assolutismo scientifico e nel dominio della tecnica del nostro tempo, nella filantropia delle Ong che promuovono contraccezione, sterilizzazione e aborto in nome dello sviluppo. Il filosofo francese, disprezzando l’uomo e sostituendo il Dio Cristiano con il Grande Essere (l’Umanità), ha terminato amaramente i suoi giorni adorando l’immagine della sua amica-amante Clotilde, recitando poesie e lamenti all’icona della donna posta sull’altare dal lui creatogli.

Una fine da povero pazzo, corroso dal suo stesso impianto filosofico senza speranza né via d’uscita.

(fine prima parte)
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1) Il libro è disponibile in Google Books, nella sua versione inglese:
2) Augusto Comte, “Catècisme positive, Garnier, Paris, 1890, p.166 (Catecismo positivista o exposición resumida de la religión universal, Editora nacional, madrid, 1982)
3) Ibidem, Tomo VII, “Système de politique positive, vol I, pag. 338 – da José MªPetit, Filosofia, politica y religión en Augusto Comte, Barcelona, Ediciones Acervo, 1978, p.230
4)Ibidem, Tomo VII, pag 363

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