martedì 9 novembre 2010

Il marxismo come agente distruttore della famiglia


Dal punto di vista politico, si può dire che il marxismo è stato sconfitto nel 1989, più di venti anni fa. Morto come sistema di governo, è diventato subdolamente un motore culturale fondamentale della civiltà occidentale, opulenta e capitalista. Paradosso della storia ma non paradosso ideologico, perché le due ideologie sovrane del dopo guerra (capitalismo e marxismo) partono da una concezione antropologica dell’uomo che in fondo lo degrada e lo denuda della sua trascendenza. Oggi si potrebbe proclamare il marxismo come vincitore della post-modernità perché è riuscito grazie al suo trasformismo dialettico a riciclarsi perfettamente, arrivando ad impossessarsi in modo mellifluo delle coscienze del popolo, i nuovi proletari, diventati il modello dell’ “uomo nuovo” sognato da Marx, ormai incapaci di una rivoluzione ma sicuramente fedeli ai dettami del pensiero unico edonista e materialista. Ci si potrebbe chiedere dove risiede tutto questo potere della cultura marxista nel mondo moderno, e la domanda sarebbe lecita, considerando che il movimento comunista nel mondo è formato da pochi sparuti nostalgici affezionati a Lenin. Per rispondere a questa domanda dobbiamo indagare sul metodo marxista e poi cercheremo di applicarlo a un caso particolare, che è la famiglia. Il marxismo si configura come noto sul materialismo dialettico: il che significa che tutto è materia in continua evoluzione che forma la realtà e l’uomo. Ogni elemento trascendentale è totalmente escluso dall’analisi marxista perché incorretto e fuorviante. Applicando questo principio alla storia si ottiene ha che la storia umana è dettata dall’economia e quindi dalla storia di classi sociali ed economiche che entrano in lotta tra di loro in un processo di rottura e discontinuità inevitabile. La contrapposizione dialettica e la trasformazione rivoluzionaria sono il motivo ultimo della società; l’unica azione ammissibile e fine ultimo del comunismo è la rivoluzione permanente. Tutta la società è posta in lotta nelle sue apparenti alterità (ricchi-poveri,uomo-donna, figli-genitori, proletari-borghesi, uomo-terra, uomo-Dio) per giungere alla sintesi finale, che ci assicura Marx è il paradiso in terra. Il povero (proletario) è la leva per questo sollevamento e per la creazione dell’uomo nuovo; il suo risentimento è la forza che distruggerà la vecchia struttura che mantiene l’uomo schiavo ed oppresso. Karol Wojtyla lo spiegherà con parole mirabili: “Il marxismo si mette dalla parte del povero Lazzaro contro il ricco Epulone per combattere a Cristo” (1): in sintesi è il meccanismo dell’invidia e del risentimento a permettere la ribellione del povero verso il Dio ingiusto che nella sua provvidenza lo ha privato dei beni necessari che ha dato ingiustamente ad altri.

Questa sbrigativa digressione è necessaria per affrontare il problema. Poiché ogni valore morale decade di fronte all’azione da prendere, per il marxismo non esiste bene da raggiungere, da amare o da realizzare ma solo l’azione che si deve compiere. Non c’è un fine al quale avvicinarsi, ma solo la continua necessità dell’azione. Il raggiungimento del “paradiso in terra” è il fine del marxismo e rivela in definitiva un’intrinseca contraddizione, perché rappresenterebbe un raggiungimento di uno stato apprezzabile (quindi perfetto) che negherebbe la dialettica marxista fondamentalmente evoluzionista. Adattare questo pensiero alla cultura significa gettare l’essere umano in una società continuamente in tensione verso la disgregazione in ottica a un nuovo ordine che non arriverà mai, e che sarà solo disgregazione e disordine.

Applicato alla società moderna, è’ la base per il pullulare delle opinioni, figlio della democrazia e del relativismo, che è la garanzia perfetta affinché la società sia un miscuglio di interessi microscopici e sensibili in continua lotta tra di loro. Questo modo di procedere risulta chiarissimo nella concezione moderna della famiglia e sulla recente legislazione in materia.

Le tesi marxiste sulla famiglia sono racchiuse nel libro “Tesi su Feuerbach” scritto da Marx nel 1845 e nel saggio di Engels “L’origine della famiglia, la proprietà privata e lo Stato” del 1884. Marx afferma che se l’ ”origine della famiglia celestiale non è nient’altro che la famiglia terrena, quella umana, è proprio a questa a che bisogna distruggere” (2); cosciente della relazione tra la paternità divina offerta dal cristianesimo e del suo riflesso terreno che è la famiglia umana, Marx punta direttamente alla distruzione del matrimonio come struttura per distruggere indirettamente il suo fondamento trascendente. Nell’altro libro citato, Engels passa in rassegna varie civiltà umane in cui la monogamia non sarebbe apparsa e nega così che il matrimonio tra uomo e donna sia l’istituzione umana naturale. Attraverso l’analisi dialettica che sopra abbiamo menzionato, l’uomo e la donna si trovano in una profonda antitesi, in cui il primo è rappresentante del potere borghese mentre la seconda della sottomissione del proletariato. L’indissolubilità del matrimonio è contestata da Engels attraverso la sua analisi materialista della realtà: l’amore coniugale si fonderebbe unicamente sul desiderio sessuale che è incostante e dimostra come l’indissolubilità del matrimonio sia contraria alla natura dell’essere umano. Il matrimonio è quindi la prima “oppressione di classe” da cui la donna deve liberarsi, entrando nel mondo della produzione sociale e lasciando l’economia domestica che include anche l’educazione dei figli. Infatti, l’economia domestica non è produttiva e deve diventarlo con l’incorporazione della donna nel lavoro produttivo che la libera dalla sottomissione al marito e dal giogo del matrimonio indissolubile. La liberazione dalla maternità sarà offerta con i metodi di contraccezione e in ultima istanza dall’aborto. Inoltre la famiglia dove si realizza il desiderio del padre di lasciare i propri beni ai figli, ed è quindi il luogo del trionfo dell’ideologia del capitalismo e della conservazione della ricchezza. La nuova famiglia sarà una non-famiglia, in cui l’educazione spetterà allo Stato e il rapporto tra uomo e donna si ridurrà alla mera riproduttività. Il marxismo punta alla donna per arrivare alla distruzione della famiglia sostenendo inizialmente l’innaturalitá della monogamia (quindi la promiscuità e la poligamia), e poi attaccando l’indissolubilità del matrimonio, offrendo alla donna il suo cammino di liberazione rivoluzionaria al di fuori dalla famiglia e dal matrimonio.

Concludendo, ci troviamo di fronte a un classico esempio di dialettica marxista: la tensione tra uomo e donna si incarna nel matrimonio come primo luogo d’oppressione. La famiglia per essere una partecipazione della paternità divina, di cui la famiglia di Nazareth è l’esempio perfetto, deve essere distrutta partendo dall’unico soggetto potenzialmente rivoluzionario perché sfruttato: la donna. In questo modo l’entrata della donna nel lavoro produttivo è il cammino di liberazione materiale dal marito prima e dalla maternità dopo. Si nega in questo modo la natura stessa del matrimonio ordinato alla donazione mutua dei contraenti e alla procreazione e all’educazione dei figli. Si capisce un po’ meglio adesso, come questa ideologia abbia permeato la società attuale: diritto al divorzio, diritto all’aborto, donne in carriera senza figli né marito, unioni illegittime ed innaturali che chiedono il riconoscimento pubblico del vizio privato, e genitori che aspettano che la scuola educhi i propri figli invece che farlo loro come spetterebbe. Viviamo in una democrazia relativista e culturalmente marxista: i frutti sono ormai ben maturi.

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1) Francisco Canals, Mundo Historico y reino de Dios, Edizioni Scire, 2005, p.103. Traduzione dall’originale in spagnolo dell’autore.

2) Citazione di Marx, “Tesis sobre Feuerbach” da José Mª Petit Sullá, “La destrucción de la familia por el marxismo”, rivista Verbo, nº329-330, 1994. Traduzione dall’originale in spagnolo dell’autore. Testo completo disponibile qui: http://orlandis.org/doc/042.htm