lunedì 29 marzo 2010

L'attacco alla Chiesa e a Pietro


E’ un tempo difficile per la Chiesa e per il suo Papa. E’ nel destino della Chiesa e del suo Pietro ripercorrere le tappe del suo divino fondatore, il che include naturalmente la Croce e la Passione. Non è un caso che tutto questo scandalo mediatico, abilmente orchestrato, succeda nel tempo liturgico piú importante per i cristiani, il tempo della Pasqua. E ciò dovrebbe far riflettere ancor di più sul destino e sul futuro della Chiesa. Di attacchi ed oltraggi al Papa la storia ne è piena, dallo schiaffo di Anagni al papa prigioniero a Castel Gandolfo. Però questo è diverso, anche se era più che prevedibile fin dai primi giorni dell’uscita dello scandalo, quando ancora le accuse giravano intorno al fratello sacerdote del Papa, Georg, quando si giocava sottilmente sul termine “abusi” nel coro di Ratisbona, insinuando che oltre agli schiaffi volava anche qualche carezza di troppo. Poi l’attenzione si è spostata direttamente sul destinatario di questo gran polverone: colui che è inattaccabile sul piano del pensiero e della dottrina, un filosofo e teologo ben più arguto e profondo dei vari pensatori moderni, poteva essere attaccato solo sul piano personale, attraverso le insinuazioni infamanti e sbattute in prima pagina. Da qui il riesumarsi di uno scandalo vecchio quasi 50 anni, che utilizzando gli abusi pedofili di un prete tedesco, sta cercando di infangare tutta la Chiesa. L’obiettivo è chiaro: arrivare all’equazione sacerdote-pedofilo e delegittimare l’autorità del Papa, reo di aver taciuto e insabbiato vari casi. Dalla sua esperienza e sapienza bimillenaria, la Chiesa sa che al suo interno convivono santi e traditori del Vangelo. Essa è abituata al tradimento dei suoi uomini, anche tra quelli più importanti e fondamentali. Primizia in questo caso è il tradimento di Giuda, scelto da Gesù per essere tra i dodici apostoli, che vendette il Signore per 30 miseri denari. Ma anche lui era un prescelto, come gli altri 11 che poi hanno dato frutto, che morirono quasi tutti martiri e sono stati vivi testimoni del messaggio di Gesù. E poichè la Chiesa vive nelle sue membra la vita del suo Pastore, ancora oggi al suo interno c’è sempre un Giuda pronto a tradire la sua chiamata. Per questo gli scandali che succedono come disse Gesù, non devono sorprenderci e che sempre ci saranno, però aggiunse fermamente “guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!”, ricorda il Vangelo. La risposta del Papa è stata cristiana in modo esemplare: “Durezza con il peccato e misericordia con il peccatore”. I giacobini nostrani e quelli di oltremare, sempre pronti con le forche in mano a chiedere giustizia sommaria e addirittura dimissioni, come se il Papa fosse un funzionario delle poste, sono rimasti delusi e ancora più contrariati da tale risposta, continuano il loro attacco. A queste persone, figlie del ’68 e della libertà sessuale per tutti, bambini, anziani, animali, pervertiti fin dalla prima ora, non importa nulla di sradicare la pedofilia. Il loro è anelo di sangue, da cani idrofobi lanciano i loro documenti che non dimostrano nulla, se non la solita evangelica risposta della Chiesa. Di fronte allo scandalo, durezza per il peccato e misericordia per il peccatore: questo ai giacobini giustizieri non va giù. Nessun commento sul fatto che la totalità dei preti incriminati fosse anche omosessuale: il politicamente corretto non fa rima con la veritá delle cose. Nessuna parola sugli scandali sessuali dei rabbini newyorkesi; il cane non morde l’altro cane.

Che questo Papa non è simpatico è chiaro a tutti. Cerca di guidare la Chiesa alla luce della Tradizione e non solo del Concilio Vaticano II come vorrebbero molti dentro e fuori dalla Chiesa; è un pensatore lucido, è figlio della vera cattolicità tedesca. Inoltre non è mediatico, non fa ridere, la sua seriosità urta la sensibilità nichilista del divertimento e del piacere. C’è ancora una voce nel mondo che grida nel deserto, e questo è imperdonabile. Addirittura si è permesso di mediare con la Fraternità di Pio IX (antisemiti, ultra-tradizionalisti, gridano i soliti “pecoroni invigliacchiti”, per dirla come Don Bastiano del “Marchese del Grillo”), e di accogliere 50 sacerdoti anglicani nella Chiesa di Roma. E’ un Papa imperdonabile perché ancora lotta con il relativismo dominante, con l'assolutizzazione del piacere, con lo stile di vita di una società che è palesemente contro l’uomo e i suoi bisogni più profondi. Lo si è attaccato questo Papa, come ha detto giustamente Marcello Veneziani, con gli ultimi due tabú in vigore: il nazismo e la pedofilia. E i media ben proni rimangono tutti dietro a cavalcare l’onda giustizialista, ora contro il sacerdote pedofilo, ora contro la Chiesa come istituzione, ora contro il Papa. Senza capire che oggi l’unica barriera al pensiero edonista e nichilista è proprio in quella Chiesa che contestano, che con affanno la screditano con vani moralismi, chiudendo gli occhi di fronte alle tante magagne dei loro compagni liberal.

Dopo tanto pudore ed indignazione ci sarebbe da aspettarsi un giro di vite sulla pedofilia nei più svariati ambienti: nelle scuole, nel turismo sessuale, nell’esercito, negli uomini di governo. Però è scontato che questo non succederà: il loro scopo non è nobile, essi non vogliono combattere la pedofilia. Vogliono solo infangare, seminare odio e discredito. E la Chiesa può aver sbagliato per mano di uomini traditori e vigliacchi, di nuovi Giuda della storia, e mi sembra che non c’è timore ad ammetterlo, come dimostra la lettera del Papa ai cattolici irlandesi, ma non può cedere di fronte alla furia giacobina.
Da che parte viene questo attacco si scoprirà poco a poco: questo Papa è troppo scomodo per i liberal, troppo tradizionalista per molti cristiani, troppo ben preparato per i protestanti e troppo cattolico per gli ebrei. Il New York Times, mente dello scandalo, risponde ai poteri forti dei media, quelli giudeo-massonici che sono i più grandi nemici della Chiesa, che tanto ben si sposano con quel latente anticattolicesimo della sinistra liberal americana (qualcuno diceva che l'anticattolicesimo è l'antisemitismo dei democratici-liberal americani).

Per i poveri cristiani in preda al dubbio, e ai cattolici disorientati da questo scandalo, è utile la storia di San Francesco di Sales. Appena in seguito alla Riforma di Lutero, scaturita dallo sdegno provocato nel monaco agostiniano dalla dissoluzione dei costumi nella Chiesa di Roma (basti ricordare che il Papa aveva nove figli da sei concubine: anche qui vale notare che nonostante il peccato degli uomini, non è stato cambiato uno iota nel Magistero e nella Tradizione della Chiesa), il santo francese si diresse nei territori della riforma protestante predicando il vangelo e rischiando la propria vita. Quando gli domandarono cosa pensasse degli scandali dei suoi colleghi sacerdoti, spesso adulteri e viziosi, lui rispose:

“Coloro che commettono questo tipo di scandali sono colpevoli dell’equivalente spirituale di un assassinato, distruggendo la fede in Dio delle altre persone con il suo pessimo esempio – e poi aggiunse – però io sono qui tra di voi per evitarvi un male ancora peggiore. Mentre coloro che causano uno scandalo sono colpevoli di assassinato spirituale, coloro che accolgono lo scandalo, che permettono che gli scandali distruggano la propria fede, sono colpevoli di suicidio spirituale”.

Per ogni Giuda, ci sono 11 apostoli pronti a morire per la verità e per la fede. Agli amici che mi chiedono consiglio in questo tempo di tempesta, gli dico una cosa che mi sembra semplice ed evidente. La battaglia è appena iniziata e siamo ancora in un tempo di relativa pace. L’odio verso la Chiesa e i cristiani richiederà una fede certa e profonda. In tempo di pace i soldati affilano le armi e le baionette, cosi anche noi rafforziamo il nostro spirito nella fede e nella carità. Come ha detto il Papa nell’Angelus: “Da Dio viene la forza per non farci intimidire contro il chiacchiericcio delle opinioni dominanti”. Credo che dobbiamo chiedere una forza ben più grande, di quella necessaria per non farsi intimidire dal semplice chiacchiericcio. Questa gente non si fermerà con alcuni titoli di giornali né con inchieste all'ultimo scandalo: la posta in gioco è molto alta, richiederà probabilmente il tempo di nuovi martiri.

martedì 23 marzo 2010

La fine della persona come essere: Jean-Paul Sartre (parte II)

La grande decadenza del pensiero moderno, diventato all’improvviso nemico e carnefice dell’uomo, si può rintracciare in quella sostanziale rottura dell’unità e organicità del mondo tipica della teologia cattolica. I filosofi e i pensatori più in voga negli ultimi centocinquanta anni hanno lavorato sodo per distruggere la visione del mondo cordiale del cristianesimo per impiantare le basi del dualismo ontologico e relativizzare la società, includendo anche l’uomo.

Il pensiero cristiano prevede una sostanziale organicità del mondo, lacerato dal peccato originale e sanato dalla morte e resurrezione di Gesù: Dio è il centro del mondo e della storia e l’uomo è creatura e Figlio, parte sublime della creazione fatta per amore. L’uomo non è estraneo al mondo circostante ed è inserito provvidenzialmente in un mondo che può dominare con la tecnica e con l’intelletto. Il grande dramma del pensiero moderno avviene nella sostanziale rottura di tale organicità del mondo e dell’uomo. Partendo da Cartesio, il pensiero che si è andato sviluppando ricalca ed enfatizza la primordiale divisone del mondo in cui l’uomo perde il suo ruolo centrale di creatura e si comincia a muovere in un ambiente conflittuale e ostile a se stesso. Corpo, anima e intelletto diventano membri scollegati della natura umana, in competizione e distruzione tra loro e lo stesso mondo circostante subisce questo destino, in cui la materia e la coscienza diventano i nuovi nemici e demoni dell’uomo. L’uomo un tempo definito come “individuo di natura razionale” perde lentamente la sua dignità per sprofondare nelle tenebre del nichilismo.

In questo senso Sartre darà il suo macabro contributo al pensiero moderno, alla cultura della morte che schiavizza l’uomo e lo rinchiude nella gabbia che si è confezionato. Come spesso accade la vita personale segnerà la vita del filosofo: la scomparsa prematura del padre Jean-Baptiste, gli farà esclamare in età matura:“fu il grande evento della mia vita: restituì le catene a mia madre e mi diede la libertà” (1). La morte della figura paterna liberava Sartre da un fardello che lo avrebbe schiacciato, dispensandolo da questo “vincolo familiare marcio” (2) e dal peso di Dio da cui si sarebbe affrancato velocemente.

Se Compte rompeva la persona umana partendo dalla negazione della sua “individualità”, Sartre farà lo stesso partendo dalla “natura”.
La divisione fondamentale del pensiero di Sartre è tra il mondo della materia e il mondo della coscienza, ovvero tra il “être-en-soi” (l’essere in sé, ovvero la materia) e il “être-pour-soi” (l’essere per se, ovvero la coscienza),

L’essere in sé è l’oggetto della nostra coscienza ed è il mondo determinato,fisso, inanimato mentre l’essere per sé è incompleto, dinamico, in quanto siamo esseri in processo che decidono in ogni momento quello che vogliono essere. In questo senso, ancora non siamo in assoluto esseri umani, stiamo ancora decidendo quello che vogliamo e scegliamo di essere. Riassunto in una frase di Sartre: “l’esistenza precede l’essenza”: ovvero il fatto di essere vivi, di esistere è qualcosa che è anteriore alla nostra natura, al nostro essere. Niente e nessuno ci determina e ci plasma prima del nostro inizio su questa terra, siamo noi che scegliamo in un divenire continuo ciò che saremo. Per questo Sartre nega l’esistenza di una creazione divina: se Dio ci ha creati ci deve aver dato una certa “natura personale,” ci deve aver dato per lo meno un minimo di concrezione, un qualcosa con cui la sua mano ci abbia plasmato. Questo non può avvenire per Sartre perché limiterebbe la nostra libertà di cambiare come vogliamo, non si può accettare nessuna creazione perché non si può accettare alcunché in noi che si possa considerare “creato” e quindi già plasmato, immodificabile. Proprio lui proclama fieramente:

“Non esiste la natura umana perché non esiste un Dio che abbia una tale concezione”. (3)

Non esistendo il concetto di umano, non esiste neanche il concetto di “inumano” per Sartre:

“Le situazioni più atroci della guerra, le peggiori torture, non creano uno stato umano delle cose; non esistono le situazioni inumane” (4).

Per questo motivo Sartre nel 1956, vedendo i carri armati sovietici invadere l’Ungheria, cercava di dissuadere lo sdegno dell’opinione pubblica dicendo che “la violenza comunista è la malattia infantile della nuova era”. Sono i piccoli dettagli da sopportare in attesa della nuova creazione comunista, la difesa indifendibile di Sartre.

Ma il dualismo una volta impiantato nella realtà può avere effetti inimmaginabili: oltre a cadere in un facile manicheismo, anche la relazione uomo-donna diventa conflittuale. L’uomo è associato all'essere per sé e quindi intrinsecamente positivo e libero e la donna all’essere in sé, come l’essenza del mondo, schiava e inutile, o per dirla alla Sartre “nauseabonda“. Sarebbe curioso vedere la faccia delle tante femministe innamorate di Sartre e della sua pretesa libertà sessuale quando si rendessero conto di essere state paragonate alla materia infima e immonda. La stessa sessualità diventa relativa e un fatto meramente culturale, non esiste nessuna base determinata per i sessi (impensabile per il filosofo), ed essi si formano nel vissuto e nelle relazioni umane. In definitiva non si nasce uomini o donne, ma si è indefiniti fino allo sviluppo del sesso che si preferisce. La breccia creata dal pensiero sartriano arriva a toccare la stessa realtà e la relazione con l’Altro, il prossimo, che è un mero oggetto della relazione, un “essere in sé”, cui è impossibile amare, lo si può o dominare o essere dominati. Niente amore, solo masochismo e sadismo. L’amore schiavizza, rende impotenti, uccide per Sartre: “il mio peccato originale è l’esistenza dell’Altro” (5), finirà per affermare.

Sartre è il filosofo del nulla. Idealizzato a sinistra per il suo impegno nel partito comunista francese, si ritroverà inghiottito nel suo stesso pensiero esistenzialista, come in un mulinello torbido dove è distrutta ogni possibilità di sopravvivenza per l’uomo, senza amore, senza vita, senza nessun senso al tempo che scorre. Un mondo avverso, profondamente ostile è quello che Sartre presenta all'uomo spersonalizzato e sodomizzato, un incubo in cui regnano odio e terrore, conflitto e "nullificazione" della realtà, un lento cammino verso il suicidio per la nausea provocata dal mondo circostante.

Come si può intuire, notevole è la sua influenza nel pensiero moderno, il nichilismo distruttivo, l’ateismo senza limiti morali, la discussione tra genero e sesso, l’omosessualità come scelta di vita, l’individualismo e il rifiuto dell’uomo come essere e come prossimo. Un grande filosofo della morte.

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1) Jean-Paul Sartre, Words, Hamish Hamilton, Londra, 1964, pag.13

2)Ibidem

3) D. de Marco/Benjamin Wiker, “Los arquitectos de la cultura de la muerte”, Ciutadela Libros, Madrid, 2007, pag 165. Versione originale in lingua inglese:http://books.google.com/books?id=IRfC5enFeH8C&printsec=frontcover&dq=donald+de+marco&hl=es&cd=1#v=onepage&q=&f=false

4) Ibidem

5) Jean-Paul Sartre, Being and Nothingness, Citadel Press, New York, 1964

lunedì 15 marzo 2010

La fine della persona come essere: Augusto Comte (parte I)


Il pensiero filosofico e intellettuale nella storia dell’umanità ha sorretto e indirizzato la politica e le scelte delle società abitata dagli esseri umani. Questa è una verità semplicissima spesso scordata e tralasciata per meri interessi puntuali, per perpetuare l’illusione di un presente senza passato. Significa che la trasformazione della società e della politica da essa sviluppata cammina di pari passo con il pensiero filosofico dominante nell’epoca di riferimento, ovvero che nessuna società nasce senza il bagaglio necessario fornitogli dagli intellettuali e dai pensatori che giustificano e danno senso all’agire umano in un dato periodo storico. Tutte le grandi epoche storiche hanno avuto il loro “traino” intellettuale che ha permesso l’instaurarsi di una certa civiltà. Fu cosi a Roma, con la filosofia greca adattata allo spirito pratico dell’Urbe, la Scolastica nel Medio Evo, l’ Illuminismo per la rivoluzione francese o il marxismo e l’utilitarismo liberista nel secolo scorso. E si potrebbero fare innumerevoli esempi per dimostrare come politica e pensiero sono un unico svolgersi che si influenzano reciprocamente. Mi sono spesso chiesto, dove e come è iniziata la grande trasformazione odierna, ovvero quando la società moderna ha intrapreso questo cammino verso la distruzione dell’uomo e il proprio annichilamento spirituale ed intellettuale. Quali sono stati gli uomini che hanno permesso nelle ultime generazioni l’imbarbarimento dei costumi, il nichilismo arrogante, la fine di un’ideologia cordiale con l’uomo e la sua esistenza che rappresentava il pensiero cristiano. E di come queste grandi novità inserite a forza nell'ordinamento giuridico degli Stati siano state accolte con tanto fervore e zelo giacobino dalla maggior parte degli esseri umani, intellettuali e non, pronti a tacciare come “profeti di sventura” coloro che vedevano l’alone della morte scendere sulla civiltà umana, sotto il nome di “progresso”. Gli stessi che si sentivano liberati dal peso della morale e dai doveri societari, erano gli stessi volenterosi carnefici che facevano del mondo un luogo di violenza e barbarie, dove regnava e tuttora regna l’individualismo, il piacere assolutizzato e la libertà senza limiti.

Un libro illuminante in questo senso è “Architects of the culture of death” (Gli architetti della cultura della morte) di D. De Marco e B.Wiker (1).

In questo articolo vedremo solo uno di questi architetti della cultura della morte, per capire come il pensiero si riflette nella società e la trasforma: Augusto Comte (nella seconda parte toccherà a Jean-Paul Sartre).

Il filosofo francese fu portatore e fautore di una nuova religione che tolse Dio dal suo trono legittimo, ponendo al suo posto l’uomo nuovo da lui stesso ideato.
Figlio di una famiglia cattolica durante la persecuzione della Rivoluzione francese creò un tipo di Umanità che avrebbe soppiantato il Dio del cristianesimo per instaurare l’era del Grande Essere – Le Grand Être – ovvero l’Umanità - di cui il filosofo sarebbe diventato il suo vate, o il Grande Sacerdote, per dirla con le parole di un altro architetto della morte, il suo amico John Stuart Mill, il teorico dell’Utilità come bene supremo. Comte era convinto che il cristianesimo fosse intrinsecamente senza rimedio e fallito perché antisociale: l’uomo cristiano è essenzialmente egoista perché cerca la propria santità e salvezza invece di occuparsi del benessere dell’Umanità. L’ “egoismo cristiano” era intollerabile per Comte, perché i cristiani sono in questo senso “anarchisti”, non sono assimilabili nella nuova religione dell’Umanità e del sapere scientifico e per questo sono causa dei disordini del tempo. Il comandamento dell’amore cristiano per il prossimo non era sufficiente per Comte che accusava il cristianesimo di aver fallito nella struttura sociale che aveva creato. In questo senso per il filosofo, tutto ciò che appartenesse alla metafisica e alla teologia non era degno di considerazione e non era utile; solo le scienze empiriche avrebbero portato alla conoscenza definitiva, o alla fisica sociale, che chiamò “sociologia”. Da qui il rifiuto dell’idea di persona derivante dal cristianesimo, come soggetto di diritto creato e amato dal Padre, perché si contrapponeva all’unica realtà possibile e concepibile, l’Umanità. L’uomo come entità ontologica è inesistente nel pensiero comtiano, semplicemente non esiste, è un non-essere. Esso deve subordinarsi al nuovo dio, il Grande Essere, adorarlo e sommettersi alla sua potenza:il culto dell’Umanità porterà quindi la giustizia sociale che anela e che è disattesa nel presente. Egli stesso afferma:

“La fede cristiana consacrava la personalità di un’esistenza che al vincolare ogni persona direttamente con un potere infinito, la isola profondamente dall’umanità”. (2)

L’uomo in sé cessa di esistere, diventa un ingranaggio minuscolo della nuova divinità, non è più portatore di nessun diritto ma solo di doveri nella nuova società del sacerdote-filosofo, è la vittoria della “sociabilità” sulla personalità, in definitiva è la morte dell’uomo:

“L’uomo propriamente detto non esiste; solo può esistere l’Umanità, poiché tutto il nostro sviluppo è dovuto alla società, da qualsiasi aspetto lo si veda. Se l’idea di società sembra ancora un’astrazione della nostra intelligenza, è soprattutto a causa del vecchio regime filosofico”. (3)

L’uomo liberato dal peso e dalla schiavitù di Dio, sarebbe diventato servo dell’Umanità. L’uomo dovrà sacrificare tutto se stesso per fondersi in un amalgama informe, arrendersi al titano imbattibile e rinunciare ai propri diritti: insomma, l’uomo si deve autoeliminare perché è un “astrazione metafisica” e deve lasciare il passo all’Umanità. I diritti rafforzando l’individualità e la persona, finiscono per dare senso all’uomo, lo riconoscono e per questo sono inconciliabili con la nuova religione: essi sono una costruzione “teologico-metafisica da abolire, insieme alla ricerca delle cause prime degli effetti. Devono esistere solo doveri che devono subordinare la personalità alla società. In pratica, non si possiede nessun diritto se non quello di fare sempre il proprio dovere.

“Tutti i diritti umani sono quindi assurdi e altrettanto immorali. Dato che esistono solo diritti divini, questa nozione deve rifiutarsi categoricamente, come referente al regime preliminare e direttamente incompatibile con lo stadio finale, che solo ammette doveri, secondo le funzioni”. (4)

E’ la vittoria della società sull’uomo, della legge sull’amore, della morte sulla vita. La visione atea e filantropica alla Comte crea una società utopica controllatrice, morbosa, che non riconosce nessun “altro” se non la propria negazione, ovvero l’Umanità. Una società che crede di sopravvivere senza uomini, è una società morta prima di nascere, che farà dell’intolleranza e dell’ingiustizia la propria essenza, in nome del nuovo dio impersonale che non può essere criticato.

Per capire l’impatto del pensiero di Comte nel mondo moderno è utile partire proprio dalla morte dell’uomo come entità. La sua influenza è chiara nelle politiche del disprezzo della vita dell’essere umano come tale, nel relativismo, nell’assolutismo scientifico e nel dominio della tecnica del nostro tempo, nella filantropia delle Ong che promuovono contraccezione, sterilizzazione e aborto in nome dello sviluppo. Il filosofo francese, disprezzando l’uomo e sostituendo il Dio Cristiano con il Grande Essere (l’Umanità), ha terminato amaramente i suoi giorni adorando l’immagine della sua amica-amante Clotilde, recitando poesie e lamenti all’icona della donna posta sull’altare dal lui creatogli.

Una fine da povero pazzo, corroso dal suo stesso impianto filosofico senza speranza né via d’uscita.

(fine prima parte)
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1) Il libro è disponibile in Google Books, nella sua versione inglese:
2) Augusto Comte, “Catècisme positive, Garnier, Paris, 1890, p.166 (Catecismo positivista o exposición resumida de la religión universal, Editora nacional, madrid, 1982)
3) Ibidem, Tomo VII, “Système de politique positive, vol I, pag. 338 – da José MªPetit, Filosofia, politica y religión en Augusto Comte, Barcelona, Ediciones Acervo, 1978, p.230
4)Ibidem, Tomo VII, pag 363

lunedì 8 marzo 2010

L'isola della speranza


Molti anni fa, il Re di un paese sovrano rifiutò di continuare a pagare gli esorbitanti interessi che gravavano sui prestiti concessi da certi banchieri italiani. L'atto coraggioso del monarca permise all'Europa intera di liberarsi dal cappio strettogli da quella classe che Dante apostrofò con parole sprezzanti: "La gente nuova e i sùbiti guadagni/orgoglio e dismisura han generata" (Inferno, Canto XVI). E' la storia di Edoardo III e dei banchieri fiorentini più famosi dell'epoca, i Bardi e i Peruzzi (1). Con il fardello dei prestiti che avevano concesso al Re d'Inghilterra, erano riusciti a mettere con le spalle al muro il sovrano inglese e addirittura si erano permessi il lusso di boicottare la nuova moneta battuta dal Re per divincolarsi dal debito che opprimeva la nazione. Non ci fu altro rimedio che il ripudio sovrano del debito, vennero sospesi i pagamenti e i banchieri italiani dichiararono bancarotta. La storia racconta dell'onta imperdonabile del monarca che si rifiutò di pagare i debiti, rovinando i banchieri.

I finanzieri dell'epoca, i guelfi neri che Dante odiava, avevano scuoiato la fiorente economia fatta di fiere nazionali e commerci con i loro prestiti che servivano ad ingrassare l'economia da cui poter estrarre i succosi interessi, a volte anche superiori al 15%. Spesso, per aggirare il divieto di usura imposto dalla Chiesa, gli Stati donavano ai finanzieri delle concessioni, quali l'esazione delle imposte o il monopolio del commercio della lana, che fungevano da garanzia e da "interesse" fisico, e lentamente erodevano la sovranità dei recenti Stati Nazionali. In quel modo Edoardo III, rifiutando di onorare e servire un debito ingiusto e dannoso per la sua popolazione, scelse l'arma suprema degli Stati Nazionali, che rivendica la superiorità del potere politico su quello economico e finanziario, che pone il benessere dei suoi cittadini al di sopra degli obblighi del debito. In altre parole, affermò "la vita della nazione, prima che i diritti della contabilità" (2).

Qualcosa di simile è successo in Islanda, questa volta non per grazia del sovrano ma per lo strumento più odiato dai burocrati del nostro tempo, il referendum popolare. Il popolo islandese ha espresso il suo giudizio riguardo alla restituzione di 3700 milioni di euro al Regno Unito e all'Olanda per il fallimento della banca islandese Landsbanki, rifiutando con il 93% (solo 1,6% ha votato a favore) la restituzione del denaro (3), che avrebbe significato per i 320.000 abitanti dell'isola pagare 16.500 € ognuno, ovvero 100 € al mese fino al 2025. Il popolo si è rifiutato, contraddicendo gli interessi della finanza e salvaguardando i loro e quelli delle generazioni future. In pratica, si sono comportati come Enrico III, questa volta in forma collettiva, affermando il proprio diritto alla sopravvivenza. In precedenza il governo islandese aveva annunciato che avrebbe garantito i risparmi dei conti correnti dei propri cittadini ma che non si sarebbe fatto carico di quelli dei risparmiatori (o speculatori) inglesi e olandesi che si erano riversati nell'isola che offriva il 5 % l'anno sui depositi on line. Adesso il paese è accerchiato da tutti a causa dello smacco sovrano del suo popolo: l' FMI non concederà prestiti fino a quando l'isola non troverà un accordo per la restituzione del debito, l'Unione Europea rimette in questione l'entrata dell'euro della piccola isola e la Gran Bretagna ha già adottato le leggi del terrorismo sui conti islandesi, alla pari dell'Iran e della Siria. Insomma, il rifiuto islandese ha fatto venire il prurito alla finanza mondiale e ai burocrati non eletti.

Una piccola nazione circondata dal mare sfida l'oligarchia finanziaria mondiale che mette gli interessi bancari al di sopra dellla vita delle persone. E' l'unica speranza di un Europa morente, oppressa da tecnocrati e massoni, di ritrovare le proprie sovranità nazionali.

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1)Per un resoconto esaustivo consultare: Maurizio Blondet, "Schiavi delle banche", Effedieffe Edizioni, capitolo IX e X
2)M.Blondet, op.cit., pag. 71