mercoledì 7 ottobre 2009

La nostra eterna farsa


A questo punto credo che il popolo italiano sia un popolo interiormente assetato di sangue. Dopo la decisione sul Lodo Alfano, ascolto commenti entusiasti della sinistra, esultanze scellerate, cori da stadio contro il nemico pubblico. Sembra di star rivivendo il nostro passato nazionale, purtroppo con attori ben più mediocri di quelli anteriori, dando cos¡ conferma all’intuizione di Marx, che disse che la seconda volta, la storia, si ripete in forma di farsa, come nel momento attuale, dove i contendenti si sfidano a colpi di tangenti e blocchi trasversali di potere.

La prima volta è stata durante il fascismo ed in quei giorni il nostro dramma nazionale finì a Piazza Loreto, preda della giustizia sommaria del popolo, prima accondiscendente e poi imbarbarito contro la propria stessa scelta. Oggi si ripete in una farsa indegna: al posto di Mussolini c’è Berlusconi, al posto dei partigiani ci sono i magistrati e la sinistra tutta. Se questi ultimi potessero dar sfogo alle proprie pulsioni più profonde, Berlusconi sarebbe impiccato seduta stante davanti agli studi di Cologno Monzese.

La cosa più triste è vedere il nostro paese ridotto a colpi di sentenze, di imbrogli, di collusioni giacobine tra magistrati e politici, con la stessa scena ridicola del popolo che si lancia nelle braccia del liberatore. Un liberatore, il nostro, che sempre parla con uno strano accento straniero, che sempre si veste da agnello salvatore e pacifico per rivelarsi appena dopo, vero lupo della steppa.

La indegna conclusione del Lodo Alfano è il ripetersi della nostra storia, del nostro dramma che si ripete senza riuscire a riconoscerlo neanche quando sfila davanti ai nostri occhi. La questione di chi giudica i giudici e fino a che punto può spingersi il giudizio del giudice è cruciale in uno Stato. Per i pochi che sono riusciti a leggersi i pochi paragrafi del Lodo Alfano, troveranno quello che è una soluzione logica e ultima di fronte alla sovranità del potere politico su quello giudiziario. Non tanto perché Berlusconi sia innocente o perché io creda che non abbia pagato l’avvocato Mills o non sia implicato nello scandalo Cir-Fininvest. Qui il punto è che il disegno di legge pacificava per il lasso di tempo della durata della legislatura (ovvero due anni e mezzo, senza influire sulla prescrizione del reato) la vita politica del paese, che sta vivendo da anni una lacerazione profonda da guerra civile latente. I due blocchi portanti del sistema si stanno sfidando a colpi di sentenze e leggi.

Eluana Englaro in questo senso è stata una vittima di questa lotta tra poteri, con Napolitano nelle vesti del falso attore super-partes (il nostro, è Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, per potere conferitogli dalla Costituzione).

Il Lodo Alfano è una soluzione limite per un paese limite.

Forse l’unica che in questo momento avrebbe potuto sancire la superiorità del potere politico (eletto e popolare) su quello giudiziario (burocrata e non eletto): per i prossimi due anni avremmo avuto un governo con un mandato elettorale che avrebbe potuto governare in un momento delicato come quello attuale. Il suo Presidente del Consiglio sarebbe stato poi processato dagli avvoltoi che non aspettano altro di scuoiare la carogna che già puzza di morto. Se questi potessero, la sentenza sarebbe aperta al pubblico ludibrio, fino alla vendetta sanguinosa.

Ci ritroviamo alla fine, con un potere politico delegittimato, con il Presidente del Consiglio puttaniere e corrotto, e con il potere de facto alla magistratura. Allora ben venga Draghi e il suo governo tecnico, finalmente saremo di nuovo liberati dal dittatore. Ripetiamo la storia in forma di farsa, sembriamo affetti da un disturbo di ripetizione del lutto, oltretutto sostituendo gli attori di una volta, perlomeno all’altezza, con questi pervertiti sessuali e assassini senza coraggio.

Anche oggi c'è la maggioranza che esulta, con la mediocrità e il conformismo di sempre, sul cadavere dell’Italia in mano ai giudici. Io non ce la faccio, mi giro dall’altra parte. Non mi venisse da ridere davanti a questa farsa.

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