Sono appena tornato da una tre giorni nella comunità Ecumenica di Taizé (1), in Francia. Mi è difficile parlare di questo tipo di vita comunitaria e di questo esperimento ecumenico tra la Chiesa Cattolica e quella protestante. Personalmente, credo nella Tradizione Cattolica e conosco i limiti e la distanza che separano la Chiesa di Roma da quella luterana. Non sono neanche partitario di un ecumenismo semplice e riduttivo che pone in dubbio il Magistero della Chiesa Cattolica e del primato di Pietro.
Soprattutto il riconoscimento di Pietro e il valore dato all’Eucarestia, presenza Reale di Gesù nel pane e nel vino sono i punti cruciali della secolare divisione. Il protestantesimo, nei suoi limiti morali e sacramentali, è un gradino più in basso rispetto alla Chiesa Ortodossa per una piena comunione con Roma e il Magistero Cattolico.
L’esperimento di Taizé, per quanto discutibile su molti punti, mi ha dato occasione per alcune riflessioni. Il tentativo di conciliare ferite del passato e distanze teologiche credo sia uno sforzo notevole, per essere “uno” come Gesù ci chiede a tutti coloro che sono chiamati a seguirlo. Una cosa mi ha lasciato in un profondo stato di riflessione: la celebrazione dell’Eucarestia. Tralasciando per un momento gli sforzi liturgici e le forzature (il Credo recitato a metà – “la Chiesa una santa, cattolica, apostolica...” – è un esempio), e credendo nella validità dell’Eucarestia celebrata, mi sono sentito molto rattristato nel vedere i protestanti comulgare con il pane “luterano”, semplice ricordo dell’ultima cena e non Pane di Vita eterno e Presenza Reale di Cristo. Un po’ come lo sguardo di Gesù verso il ricco che non poteva dare tutto ai poveri e seguirlo: in quello sguardo raccontato dall’evangelista, Gesù sentì amore per quella condizione del giovane. Credo di aver sentito qualcosa di simile: mentre andavo a comulgare sentivo compassione e misericordia per quei fedeli protestanti, che disposti nella buona fede, non riconoscevano la presenza di Gesù proprio lì accanto a loro, a pochi metri e “si accontentavano” di un pane benedetto. Avrei voluto gridarglielo, che c’era accanto a loro un tesoro di cui non si accorgevano. Credo che la piena conversione del protestantesimo passa inscindibilmente attraverso dell’Eucarestia, celebrata con pienezza solo nella Chiesa Cattolica. Riconoscere Gesù presente nel Pane consacrato è il primo passo per un cammino di riconciliazione con la Chiesa di Roma.
Da questa esperienza esco con due certezze: la prima che abbiamo il dovere come cattolici di difendere l’integrità e la pienezza del Magistero e della Salvezza all’interno della Chiesa Cattolica, mostrando la testimonianza più profonda e grande che abbiamo: l’Eucarestia. In secondo luogo, mi ha rallegrato la presenza di molti giovani che ho visto entusiasti di servire, lavando i bagni, sgrassando le pentole, rifare i letti, preparare il mangiare per i loro coetanei, alzarsi alle 6 del mattino per correre all’alba ed assistere alla prima preghiera del giorno. Non me la sento di condannarli dal pulpito e biasimarli. Sicuramente sono molto meglio di molti nostri giovani, rinchiusi in barricate e giardinetti mentre consumano droga e alcool, senza sogni e senza slanci.
Certo si può e si deve migliorare, esplicando con chiarezza e carità quei punti fondamentali che separano i protestanti dall’accettare il Magistero del Papa e della Chiesa Cattolica. Forse la storia del Frate Roger (fondatore della comunità) può aiutare a dare speranza: nato protestante, ha ricevuto la comunione il giorno del funerale di Giovanni Paolo II. Più tardi disse che il suo desiderio più profondo era trovare Gesù in quell’Ostia, e che lo aveva trovato nella Comunione ricevuta dall’allora Cardinal Ratzinger. Poco tempo dopo è stato ucciso nella Chiesa di Taizé da una squilibrata con molteplici coltellate.
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