La data dell' 8 Settembre è per l'Italia più importante addirittura del giorno in cui si dovrebbe festeggiare l'unità nazionale.
Credo che si possa considerare la fine dell'idea di nazione più storicamente rilevante della sua stessa unificazione, soprattutto per quanto riguarda le sue implicazioni sulla vita politica del presente e della sua influenza nella coscienza del popolo.
In quell' 8 Settembre è racchiusa tutta la storia d'Italia, fatta di traditori e voltagabbana, della sorpresa dell'ultimo minuto, dei patti mai rispettati.
La nazione che ne verrà farà santi coloro che lottarono contro l'invasore e accolsero i nuovi alleati, chiamando partigiani coloro che impugnarono le armi per difendere il suolo natio dalla barbarie tedesca. Questo è pressapoco il riassunto dei libri di storia che vengono studiati sui banchi di scuola, e la versione perlopiù condivisa dalla maggior parte della popolazione italiana.
Abbiamo fatto del nostro dramma nazionale il nostro trionfo. Finalmente, ci diciamo, in quell' 8 Settembre, il popolo italiano è rinsavito e si è lasciato alle spalle la pagina buia del fascismo, ottenendo la libertà che tanto agognava e la democrazia che tutti aspettavano. I calcoli però non sono andati proprio come si sperava: quella democrazia, che piaccia o meno, nasce sulla base del rifiuto della propria identità e sul tradimento. Solo in questo modo si capiscono gli ultimi 60 anni di storia italiana, fatta di Democrazia Cristiana, stragi, terrorismo di Stato, governi tecnici mai eletti e con pieni poteri, fino ad arrivare a Berlusconi. Colui che doveva essere l'uomo nuovo, si è rivelato perfetto continuatore della strategia del tradimento: niente da rimproverargli, se non l'aver sciupato la possibilità storica di recuperare il nostro destino nazionale, tornare ad essere davvero una nazione, con un destino di popolo, con un economia sovrana e una politica indipendente. Niente di tutto questo: la nostra economia è decisa da un organo non eletto, la nostra politica internazionale da Usa ed Israele, la nostra politica interna dai soliti trasformisti.
L'8 Settembre festeggiamo il nostro destino di morte, di un popolo che ha smesso di essere popolo, felici dei nostri campanilismi e delle nostre guerre intestine. Da quando Gianfranco Fini (degno erede dei voltagabbana) fece la gloriosa svolta di Fiuggi, tutto il mondo politico è d'accordo. La gloria appartiene a quell' 8 Settembre, quando il popolo rinsavì dal torpore fascista. Finalmente siamo liberi, possiamo esultare. Guardandoci alle spalle però, pronti a tradire di nuovo quando converrà e a venderci al migliore offerente, sperando nell'arrivo dello straniero, il nostro deus ex machina salvatore. Notate come oggi di nuovo la campagna anti-berlusconi viene dal di fuori. Giornali di lunga data, The Economist, il New York Times, Le Monde si dilettano in continui attacchi al nostro governo, e noi scodinzolanti aspettiamo il nuovo Napoleone che venga a liberare il nostro suolo. Alla fine è quello che ci meritiamo, senza dubbio. E' curioso sentire le parole del Presidente della Repubblica, questa volta relegate in bassa posizione nell'edizione on line dei maggiori giornali che "la Resistenza ci ha ridato la dignità". Proprio lui che esultava da membro del partito comunista dei carri armati dell' Armata Rossa su Budapest, definendoli portatori di pace. Si capisce quale dignità ci abbia ridato.
Dice bene Bartoli ("L'Italia di arrende, la tragedia dell' 8 Settembre '43", Editoriale Nuova):
"Triste cosa è sempre la disfatta del proprio Paese anche per chi non abbia accettato le ragioni e gli scopi della guerra; ma la sconfitta diventa ancora più pesante se i vinti sono costretti a invocare la protezione dei vincitori di fronte ai propri alleati, come accadde agli italiani dell'estate del ‘43".
Dal nostro dramma nazionale abbiamo ricavato una letteratura variegata sull'antifascismo e i loro eroi: i partigiani. Ricoperti da questa aurea di santità ci guardano attraverso la storia, forse non capendo neanche essi stessi il loro strano destino. Tra questi voglio menzionarne uno: Umberto Fusaroli Casadei, capitano della formazione partigiana dell' 8° Brigata Garibaldi. Quando gli chiedevano se sentisse rimorso per le morti dovute alla sua ferocia e al suo zelo antifascista diceva spensierato, da buon toscanaccio:
"Provo a contare tutti quelli che ho ucciso con le mie mani, ma non riesco a ricordarmeli tutti, e allora mi addormento tranquillo"
Dante collocò i traditori nell'imbuto dell' Inferno, tra i peggiori peccatori: quelli della Patria restavano intrappolati nel ghiaccio. A imperitura memoria. Forse è questa la sorte che stiamo vivendo oggi.
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