domenica 20 settembre 2009

A Gaza è morta la giustizia


In un celebre film, Alberto Sordi faceva suonare a morto tutte le campane di Roma contemporaneamente. La sua spiegazione davanti al Papa fu che era morta la giustizia. Su ciò che è successo a Gaza e sulla sua reale situazione attuale, oggi non ci sono campane né titoli di giornali, tantomeno dibattiti costruttivi nella carta stampata come in televisione.

Le notizie che filtrano sono opera di organizzazioni coraggiose, testimonianze individuali ed agenzie di stampe indipendenti. A Gaza, nonostante non si sentano campane, la giustizia è morta tra il 2008 e il 2009, nell’attacco proprio nel giorno di Santo Stefano. Nella notte tra il 26 e il 27 Dicembre, i rabbini studiando le sacre scritture trovavano un cavillo tecnico per autorizzare le bombe israeliane a riversarsi su Gaza nel giorno dello Shabbat. Bisogna sapere che ad un pio ebreo non è lecito neanche accendere un fuoco nel santo giorno del sabato. L’eccezione però è valsa per accendere i motori degli aerei e riversare il fuoco sulla Striscia di Gaza. Relatività ebraica. Le bombe uccidevano persone e uccidevano la giustizia, senza fare distinzioni.

Il senso di giustizia, poi entrato come norma nel diritto internazionale e nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo, è nel mondo occidentale, quell’insieme di principi e norme che hanno fatto da Roma in poi, la base del diritto in Europa. L’habeas corpus, la condizione di innocenza fino al giudizio definitivo, una pena riabilitativa e non solamente punitiva, misure giudiziarie umane, il riconoscimento del nemico come essere umano: insomma un sentimento diffuso di umanità, che il potere centrale amministrava al posto del cittadino colpito.

Già quando Colin Powell mostrò all’ONU una boccetta di antrace e alcune diapositive satellitari per giustificare l’attacco all’Iraq nel febbraio del 2003, si capì che della giustizia era rimasto ben poco. Le prove si rivelarono false, ma ormai l’attacco era iniziato: in seguiti si scoprirono torture, si sganciarono bombe al fosforo e si attuò una strategia del terrore che di umanità ha ben poco. Lo spettro della guerra preventiva era entrato nel diritto internazionale: in principio qualsiasi Stato poteva fare guerra ad un altro, secondo le sue supposizioni o fonti di intelligence, senza consultare la comunità internazionale.

Il punto più basso della storia del diritto internazionale moderno si è toccato con l’attacco di Israele alla striscia di Gaza. Questo è avvenuto senza preavviso, senza resa, senza appoggio internazionale, senza rispettare la Convenzione di Ginevra (1): una follia assassina si è riversata in quasi quattrocento chilometri quadrati e in tre settimane ha cercato di dare il colpo di grazia ad una popolazione di un milione e mezzo di abitanti. Come per le smoking gun di Saddam, doveva essere un’operazione chirurgica: stanare i lanciatori di Qassam e tornare al confine del suolo sacro. Si è rivelato un massacro: in tre settimane sono morte 1387 persone, di cui solo 330 erano combattenti. Il resto erano civili, perlopiù donne e bambini, vittime di un tiro a bersaglio dei soldati israeliani (2). Non bastava tenere una popolazione alla fame, senza elettricità, aspettando che le scorte di medicinali e di cibo si esaurissero lentamente: bisognava umiliare e condannare definitivamente quella lingua di terra, sradicare ed annientare qualcosa di più profondo che la vita delle persone. La posta in palio era l’annientamento di una coscienza di popolo, della libertà e del sentimento della giustizia. Bisognava fare terra bruciata, Gaza delenda est nell’ideologia talmudica di Israele. Come nella narrativa biblica, i popoli limitrofi che resistono al potere degli eletti, devono essere annientati, invocando il Dio degli eserciti per riuscirci. L’Antico Testamento per gli ebrei è in corso in questi anni, sta “succedendo”; tutto intorno ad Israele è popolato da Amorrei e Filistei. Contro di essi non deve esistere pietà.

L’associazione Breaking the Silence lavora da tempo per documentare le angherie e i soprusi che i soldati israeliani ogni giorno riversano sui palestinesi. Yehuda Shaul, ex soldato israeliano più volte arrestato per la sua attività e oggi presidente dell’organizzazione rivela:

“In Israele si entra nell’esercito a 18 anni perché vuoi lottare contro il nemico del tuo paese, perché vuoi lasciare un’impronta nella storia e fai quello che ti dicono, senza pensare. E tutto lì ti aiuta affinché tu non possa pensare. Missioni da compiere, ordini da seguire. E non vedi ai palestinesi come esseri umani, li vedi come animali. Entri nella loro casa di notte, li svegli con delle urla, agli uomini che sono lì e rompi tutto. Sono cose che non faresti qui in Israele. E per poterlo fare, neghi la realtà. E’ l’unica forma. Crei tra te e la realtà un muro di silenzio (...) oltretutto sei giovane e inizia a piacerti questo potere, che la gente faccia tutto quello che tu dici. E’ come un videogioco (...) I check point non servono a fermare i palestinesi che entrano in Israele, sono creati affinché la realtà non entri in Israele. Perché questa è una società di soldati (...) per questo esiste il muro di silenzio, di negazione, perché tutti siamo responsabili e non lo vogliamo ammettere”. (3)

Israele è entrato a Gaza senza neanche una minima dichiarazione di guerra, senza avvisare la popolazione, senza fare distinzioni tra civili e militanti, abusando della forza militare schiacciante che possiede e andandosene dalla Striscia senza un comunicato, una parola, un trattato. Come dire, noi torniamo quando vogliamo, per voi abitanti della Striscia non ci sarà pace e ogni volta che vorremo entreremo senza chiedere il permesso, in quella che non è la vostra casa, ma solo un territorio occupato da animali. E’ ciò che si chiama governare con il terrore, con il rumore dei jet che passano rompendo la barriera del suono producendo un rumore simile allo scoppio di una bomba, con la somministrazione con il contagocce di medicine, cibo, acqua ed elettricità, con le bombe che cadono periodicamente. Sempre con la minaccia che da un momento all’altro l’offensiva possa tornare a pieno ritmo. Senza contare l’uso della forza indiscriminato, le vessazioni, i soprusi, e tutto il dolore lasciato alle spalle dalla gita di fine anno dello Tsahal. Una nave carica di aiuti umanitari, medicinali, cibo, giocattoli, la Spirit of Humanity ogni volta che tenta di avvicinarsi alle coste di Gaza, è braccata dalla Marina militare israeliana che la allontana con spari e minacce, impedendo il rifornimento della popolazione. Nel Talmud si spiega tutto questo:

"Dalla nascita, l'israelita deve cercare di svellere gli sterpi della vigna, cioè sradicare ed estirpare i goim dalla terra, poiché non può essere data a Dio Benedetto maggior letizia che quella di adoprarci a sterminare gli empi e i cristiani del mondo.” (Talmud, Sefer Israel, 180)"

Questa notte finisce il Ramadan islamico, il mese del digiuno. Per Gaza il Ramadan dura da tre anni e continuerà fino a quando Israele lo vorrà.

Per questo è la fine del diritto, la fine della giustizia.

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1)Per maggiori informazioni sulle armi proibite, sul trattamento dei prigionieri e dei civili in guerra, consultare: http://www.supportgenevaconventions.info/

2)http://www.tercerainformacion.es/spip.php?article10011

3)http://www.institucional.us.es/marco/palestina/docs/confesiones.pdf

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